L’Association of American Publishers ha reso noti i valori consolidati dell’editoria statunitense nel 2022. Il primo mercato mondiale vale 28,1 miliardi di dollari (circa 26,3 miliardi di euro al cambio del 30 dicembre 2022), in flessione del 2,6% rispetto al 2021 ma sempre largamente al di sopra dei valori registrati nel 2019 (+8,6%). Le prime stime diffuse dall’associazione degli editori erano state decisamente più pessimistiche (-6,4%), ma il motivo di tale discrepanza è presto detto: mancavano i valori della scolastica. È infatti questo settore a registrare la crescita più pronunciata dell’anno (+16,6%), tale da compensare l’andamento negativo del trade (-6,6%).
Le fluttuazioni annuali, in ogni caso, vanno inserite in un contesto temporale più ampio: allargando lo sguardo agli ultimi cinque anni si nota che la crescita generale del mercato americano non è stata uguale per tutti i settori, ma ha comportato un aumento dell’importanza del trade e della scolastica da un lato, e un arretramento dell’editoria accademica e professionale dall’altro. Procediamo però con ordine.
Trade
Con 17,4 miliardi di dollari, il trade resta nel 2022 il principale settore dell’editoria americana. La composizione delle vendite per formato poco si discosta dalle stime diffuse in precedenza: trova quindi conferma che, per la prima volta dal 2014, i tascabili hanno superato gli hardcover a valore, dato il calo molto più marcato dei secondi (-13,6%) rispetto ai primi (-0,5%). Come avevamo già avuto modo di commentare, si tratta di una tendenza che può anche essere interpretata come un mancato traino delle novità o come una risposta all’acuirsi dell’inflazione (di fronte a un aumento del costo della vita, cioè, i consumatori potrebbero essersi orientati maggiormente verso formati più economici). Al netto di ciò, è evidente che la contrazione delle vendite di hardcover rappresenta il principale responsabile del calo dell’editoria americana di quest’anno: in valori assoluti il formato perde infatti quasi un miliardo di dollari in un anno a fronte di un differenziale tra 2021 e 2022 del settore nel suo complesso di poco più di 700 milioni.
Un ulteriore elemento di interesse che emerge dai dati definitivi del 2022 è che la forbice tra e-book e audiolibri è ancor più stretta di quanto si pensasse qualche mese fa. I primi hanno perso il 6,5% a valore, per un totale di 1,95 miliardi di dollari, mentre i secondi sono cresciuti del 2,6%, raggiungendo quota 1,81 miliardi. In termini di quote sul totale del trade, i due formati sono separati da meno di mezzo punto percentuale. Se si guardano i dati alla luce della serie storica, il sorpasso dei secondi a danno dei primi è probabilmente solo questione di tempo: gli e-book sono in calo continuo dal 2014, con l’eccezione del 2020, mentre è avvenuto l’opposto per gli audiolibri, al netto di un rallentamento della crescita nell’ultimo anno. Rispetto al 2018 gli e-book hanno perso il 2,5%, mentre gli audiolibri hanno guadagnato il 71,7%.
L’editoria non di varia
Il rapporto dell’associazione degli editori americani non si limita a considerare soltanto il trade. Come anticipato, con un +16,6% è la scolastica, il secondo settore per importanza con un valore pari a 5,6 miliardi di dollari, ad aver impedito che l’editoria del Paese non registrasse un calo ancora più pronunciato nel 2022. Il dato più impressionante, però, è quello di medio termine: in cinque anni il settore ha guadagnato oltre il 67%. Per quanto però vistosa, si tratta di un’eccezione rispetto a una generale sofferenza dell’editoria non di varia nel Paese. L’editoria accademica (escluse le university press, calcolate a parte) e quella professionale perdono rispettivamente il 7% e il 6%, mentre a confronto con il 2018 entrambi i settori hanno visto ridursi di circa un quinto il loro valore. Lo sviluppo del mercato nell’ultimo quinquennio, cioè, è maturato di pari passo con una ridefinizione degli equilibri tra i diversi comparti: se l’industria del libro nel suo complesso è cresciuta a doppia cifra (+11%) ciò è dipeso da chi legge per piacere e da chi lo fa per adempiere agli obblighi scolastici, mentre studenti universitari e professionisti hanno ridotto i loro acquisti di libri e di altri prodotti editoriali.
I canali di distribuzione
Tra i dati pubblici che l’AAP ha diffuso non rientra la divisione delle vendite dei libri a stampa tra librerie fisiche e online nel mercato trade, ma uno sguardo ai numeri presentati su Publishing Perspectives permette comunque di trarre alcune conclusioni. I negozi fisici hanno perso nel 2022 il 5,8%, assestandosi sui 5,22 miliardi di dollari. L’online (inteso come l’insieme dei libri a stampa venduti tramite e-commerce e dei libri digitali) perde però ancora di più: -12,4% rispetto al 2021. Anche in questo caso i dati di medio periodo aiutano a interpretare il fenomeno. Il rimbalzo delle librerie fisiche porta il canale a valori identici a quelli del 2019, mentre l’online nel suo complesso si colloca su valori di poco superiori. Con 7,23 miliardi di dollari, la fetta di mercato più consistente dopo l’online nel 2022 è rappresentata dalle vendite dirette, cresciute del 12,3% rispetto all’anno precedente. Crescono anche le vendite dei cosiddetti «canali intermediari» (+13,1%).
Tra i diversi canali di distribuzione merita un discorso a parte l’export. Nel 2022 le vendite di libri americani all’estero sono state pari a 1,25 miliardi, un passo indietro rispetto al 2021 pari a 230 milioni di dollari (-16%). Per trovare valori assoluti simili occorre tornare al 2018, visto che nemmeno durante la pandemia le esportazioni erano rallentate così tanto: tra 2020 e 2019 il differenziale era infatti stato di appena 10 miliardi. Le cause di questo arretramento, però, potrebbero essere esogene: in parte perché in un quadro mondiale di contrazione degli interscambi tra i diversi Paesi nel 2022 anche il settore del libro può aver avvertito delle ripercussioni, ma soprattutto perché l’anno passato ha visto un dollaro forte come non lo era stato dagli anni Ottanta. In presenza di libri diventati improvvisamente più cari è plausibile che i consumatori degli altri Paesi abbiano ridotto i loro acquisti dagli Stati Uniti o si siano rivolti ad altri Paesi, e forse non è un caso che al -16% dell’export americano faccia da controcanto il +8% dell’export del Regno Unito.
Dottorato in filosofia a Firenze, Master in editoria di Unimi, AIE e Fondazione Mondadori. Attualmente lavoro presso l'Ufficio studi AIE. Mi interessano i dati della filiera editoriale e le loro possibili interpretazioni.
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