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Mercato

Dove guardiamo quando guardiamo al futuro

di Giovanni Peresson notizia del 3 aprile 2018

Quando parliamo di futuro, lo vediamo e lo intendiamo prevalentemente (o solo) come futuro tecnologico. Intelligenza artificiale, realtà aumentata, stampa 3D, realtà virtuale, Big data, Internet of things: declinazioni della tecnologia che incrociano e incroceranno, in qualche modo, le industrie dei contenuti editoriali. Così il futuro, per la nostra industria, lo intendiamo come cambiamento nel modo di pensare ai prodotti editoriali, nel modo di distribuirli, di acquistarli, di leggerli e di fruirli.
 
Eppure vi sono anche altri elementi (forse più concreti) a cui prestare attenzione, che determineranno – non meno dei primi – il nostro futuro. Diciamo entro un arco di anni compreso tra il 2024 e il 2065. Un insieme di fattori che troviamo suggeriti in un recente studio della Banca d'Italia: «Questo lavoro esamina il contributo della demografia alla crescita economica – riprendo da qui, marzo 2018 – confrontando l’Italia del passato, quella di oggi e quella che vivremo nel futuro. Attraverso una scomposizione contabile della crescita del Pil e del Pil pro capite si mostra [in questo studio] come le modifiche nella struttura per età della popolazione abbiano prodotto nel passato più lontano un demographic dividend positivo. Al contrario, negli ultimi venticinque anni e con ogni probabilità nel futuro, la demografia ha dato un contributo diretto sensibilmente negativo alla crescita economica. I flussi migratori previsti limiteranno l’ampiezza di tale contributo negativo, ma non saranno in grado di invertirne il segno».
 
Certo, le azioni di policy, l’estensione della vita lavorativa, l’aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro, l’incremento (qualitativo) nei livelli di istruzione, potranno – è la conclusione dello studio – contrastare i puri effetti contabili legati all’evoluzione nella struttura per età. Ma il dato di fondo resta, come resta la necessità di allargare i nostri sguardi.  Nel 2065 Istat stima una popolazione residente di 53,7 milioni di persone: 7 milioni di consumatori e acquirenti in meno rispetto ad oggi.
 
Ma lo studio ci dice anche altre cose altrettanto chiare. Tra crescita demografica e Pil – e quindi un indicatore che possiamo assumere come proxy di reddito e consumi – c’è una relazione stringente che non può non impattare sui livelli di consumo (a sua volta somma di tanti «consumi») della popolazione. La quota di popolazione in età lavorativa è da anni in contrazione. Corrispondentemente, cresce l’indice di dipendenza strutturale (il rapporto, cioè, tra la popolazione non attiva 0-14 anni e over 64, e la popolazione tra i 15 e i 64 anni). Questo, tanto più in un Paese (vale per i consumi culturali) in cui il mercato domestico coincide con l’area italofona: l’internazionalizzazione del mercato dei diritti, la pubblicazione di opere (design, arte, fotografica, ecc.) direttamente in inglese, la valorizzazione dei diritti secondari verso opere transmediali possono essere (lo sono già oggi in realtà, ma non in misura non ancora sufficiente: da tutto ciò non deriva più del 5% del fatturato del settore) le strade obbligate da percorrere.
 
Le attitudini, i bisogni, i comportamenti di acquisto e di lettura, le preferenze degli individui variano decisamente con l’età e con l’aspettativa di vita: l’evoluzione della struttura per età può quindi influire sulla performance economica di un Paese. Credo che immaginare che questo processo lasci indenni i settori delle industrie culturali e di quelle editoriali sia difficile. L’invecchiamento della popolazione – che non inizia oggi – potrebbe portare a un rallentamento nella crescita del mercato del libro educativo, di quello per bambini e ragazzi (cosa che peraltro fino a oggi non è affatto avvenuta!). Né possiamo immaginare che il rallentare di questo mercato possa venir supplito solo da un aumento dell’intensità di acquisto delle famiglie (non abbiamo dati al proposito ma vediamo, questo sì, crescere le copie vendute nei canali trade dei libri per bambini). Ma continuerà ad andare così? viene da chiederci.

L’invecchiamento della popolazione non ha portato fino ad oggi a una produzione pensata per queste fasce di età. Né sappiamo fino in fondo cosa significhi pensarla. Dalla fine degli anni Ottanta, si è assistito a un progressivo mutamento strutturale che ha condotto la popolazione più anziana a superare quella più giovane poco più di due decenni fa, fino a diventare il 165% della popolazione 0-14 lo scorso anno. Anche se l’invecchiamento della popolazione – e quindi le aspettative di vita più lunghe – hanno storicamente alimentato una sostituzione tra il numero di figli e la quantità/qualità della loro istruzione, questo processo nel nostro Paese – contrariamente a quelli del centro e nord Europa – è tutt’altro che concluso e ha ancora ampi margini di miglioramento.
 
Le dinamiche demografiche future potranno (dovranno!) implicare un ulteriore aumento nella dotazione media del capitale umano del nostro sistema Paese. Un risultato da conseguirsi con azioni congiunte di policy, lavoratori giovani meglio istruiti e lavoratori anziani portatori di un capitale umano più elevato degli attuali elderly workers. In buona sostanza, limitarsi a circoscrivere il futuro del settore editoriale come una variabile dipendente dai futuri tecnologici può rischiare di farci perdere di vista le coordinate più generali (e le opportunità e le minacce) connesse all’evoluzione demografica del Paese (e dei lettori).

L'autore: Giovanni Peresson

Mi sono sempre occupato di questo mondo. Di editori piccoli e grandi, di libri, di librerie, e di lettori. Spesso anche di quello che stava ai loro confini e a volte anche molto oltre. Di relazioni tra imprese come tra clienti: di chi dava valore a cosa. Di come i valori cambiavano in questi scambi. Perché e come si compra. Perché si entra proprio in quel negozio e si compra proprio quel libro. Del modo e dei luoghi del leggere. Se quello di oggi è ancora «leggere». Di come le liturgie cambiano rimanendo uguali, di come rimanendo uguali sono cambiate. Ormai ho raggiunto l'età per voltarmi indietro e vedere cosa è mutato. Cosa fare da grande non l'ho ancora perfettamente deciso. Diciamo che ho qualche idea. Viaggiare, anche se adesso è un po' complicato. Intanto continuo a dirigere l'Ufficio studi dell'Associazione editori pensando che il Giornale della libreria ne sia parte, perché credo sempre meno nei numeri e più alle storie che si possono raccontare dalle pagine di un periodico e nell'antropologia dei comportamenti che si possono osservare.

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