Qualche giorno fa Istat ha reso noti i dati dell’andamento del commercio al dettaglio nel mese di marzo. Dati ampiamente ripresi dalla stampa, a cominciare dal -20,5% a valore rispetto al mese di febbraio. A «determinare l’enorme calo», il crollo delle vendite di prodotti non alimentari (-36,0%), nonostante la tenuta (ma è comunque un -0,4%) degli alimentari.
In realtà i dati sull’andamento del commercio al dettaglio contengono diverse indicazioni sul grado di torsione dei comportamenti di scelta dei canali in questi mesi (anche relativamente al comparto editoriale, come vedremo). Con la domanda retrostante, se e in quale misura questi cambiamenti diverranno strutturali o lo saranno almeno per i prossimi mesi. Che è la cosa che tutti ci chiediamo.
Intanto questo calo delle vendite risulta diverso tra canale e canale. Le vendite diminuiscono – ci riferiamo all’andamento complessivo – del -9,3% per la grande distribuzione, ma schizzano al -28,2% per le imprese operanti su piccole superfici (e la classificazione adottata da Istat fa rientrare in questa categoria tutti i punti vendita con meno di 400 metri quadrati). Mentre è in crescita sostenuta il commercio elettronico, con un +20,7%.
L’effetto più evidente lo abbiamo con la forte flessione delle vendite di beni non alimentari, come conseguenza dell’applicazione delle misure di chiusura di molte attività di vendita al dettaglio a partire dal 12 marzo, a causa dell’emergenza sanitaria. I «non alimentari su piccole superfici» fanno segnare un -36,6% (marzo su marzo), dove l’abbigliamento appare come il settore maggiormente penalizzato (siamo tra un -57% e un -54%) poco più sotto rispetto alla categoria «cartoleria, libri, giornali e riviste» che segna un -48,9% rispetto al corrispondente mese del 2019.
Dati che riflettono il sentiment del consumatore, come ha messo in evidenza un webinar di GfK del 7 maggio scorso (Attivarsi per la Fase 2: focus su largo consumo, media e comunicazione): 15 punti di calo che rappresentano il peggior risultato di sempre nell’Indice globale di sensazioni del consumatore (si vedano anche i dati sul clima di fiducia delle famiglie di Istat), e che si sono tradotti dalla decima settimana in poi, in una progressiva divaricazione tra il valore della spesa per atto di acquisto (da 110 euro passa a 130 euro nella 13esima settimana) e l’indice di atti di acquisto (da 113 euro si piomba a 81 euro). Tradotto: carrelli più grandi, minore frequenza di spesa.
Nell’online, il valore della spesa media del 2020 fino alla nona settimana appariva sostanzialmente allineato a quello del 2019 (33-34 euro). A partire da questa data vediamo crescere il valore della spesa media in questo canale: da 36 euro nel 2019 a 47 euro nel 2020, fino ad arrivare nella tredicesima settimana di quest'anno a un valore di 62 euro (era 32 euro nel 2019). I dati di Gfk mostrano soprattutto un aspetto importante: il 37% delle famiglie che ha comprato online a marzo non aveva mai utilizzato questo canale nei 12 mesi precedenti.
In qualche modo il combinato disposto da ciò che emerge da Istat e da Gfk farebbe intravedere come l’emergenza sanitaria e il lockdown conseguente possano funzionare in questo momento da catalizzatori nei nuovi processi di apprendimento del consumatore di modalità di acquisto diverse – indipendentemente dal fatto che si parli di libri – rispetto al passato (e inevitabilmente, prima del modo di informarsi). Da catalizzatori però in una cornice in cui i consumatori e le famiglie vivono e si muovono, fatta da un lato di incertezze economiche e sociali sul proprio futuro, dall’altro di assenza di qualsiasi punto di riferimento fisso attraverso cui traguardare i propri progetti di vita, di consumo e di futuro.
Nell'immagine di sfondo: l'interno di un negozio di Verona
Mi sono sempre occupato di questo mondo. Di editori piccoli e grandi, di libri, di librerie, e di lettori. Spesso anche di quello che stava ai loro confini e a volte anche molto oltre. Di relazioni tra imprese come tra clienti: di chi dava valore a cosa. Di come i valori cambiavano in questi scambi. Perché e come si compra. Perché si entra proprio in quel negozio e si compra proprio quel libro. Del modo e dei luoghi del leggere. Se quello di oggi è ancora «leggere». Di come le liturgie cambiano rimanendo uguali, di come rimanendo uguali sono cambiate. Ormai ho raggiunto l'età per voltarmi indietro e vedere cosa è mutato. Cosa fare da grande non l'ho ancora perfettamente deciso. Diciamo che ho qualche idea. Viaggiare, anche se adesso è un po' complicato. Intanto continuo a dirigere l'Ufficio studi dell'Associazione editori pensando che il Giornale della libreria ne sia parte, perché credo sempre meno nei numeri e più alle storie che si possono raccontare dalle pagine di un periodico e nell'antropologia dei comportamenti che si possono osservare.
Guarda tutti gli articoli scritti da Giovanni Peresson