La causa che vede negli Stati Uniti coinvolta Amazon per comportamenti anticoncorrenziali nello stabilire i prezzi degli e-book è appena salita di livello: anche i big five dell’editoria americana (Hachette, HarperCollins, Macmillan, Simon & Schuster e Penguin Random House, anche se Simon & Schuster è entrato a far parte della galassia tutta europea di Bertelsmann) sono adesso sul banco degli imputati, e quattro diverse cause in essere negli Stati Uniti sono state accorpate in un unico processo. Per capire l’evoluzione degli ultimi avvenimenti, occorre ricostruire quanto avvenuto nell’ultimo mese per poi risalire ancora più indietro.
È il 14 gennaio del 2021 e presso il distretto di New York viene depositata una class action contro Amazon, mentre il giorno precedente era stato comunicato che la stessa compagnia era stata messa sotto investigazione in Connecticut per comportamenti potenzialmente anticoncorrenziali nel mercato degli e-book. L’accusa viene mossa dallo studio legale Hagens Berman, famoso per aver intentato – e vinto – una causa contro Apple nel 2011 per lo stesso motivo. Per quanto Amazon figuri come unico imputato, ciascuno dei cinque gruppi editoriali viene etichettato come co-cospiratore. L’accusa è quella di aver abusato della Clausola della nazione più favorita (il MFN, Most Favoured Nation) per mantenere il prezzo degli e-book artificialmente alto. Sempre secondo l’accusa, si sarebbe dato adito a una limitazione della concorrenza: occorre pagare un prezzo maggiorato per comprare prodotti dei big five da un rivenditore di e-book che competa con Amazon.
Dei numeri possono aiutare a capire la posta in gioco. Il 90% degli e-book negli Stati Uniti si vende su Amazon, e l’andamento dei prezzi negli ultimi anni è stato scandito dal susseguirsi di azioni legali e contromosse. È lo studio legale Hagens Berman stesso a ricordare come il costo degli e-book per i consumatori sia sceso sensibilmente nel 2013 e 2014 proprio a seguito della vittoria contro Apple, ma che sia salito nuovamente quando Amazon nel 2015 ha rinegoziato i contratti con i singoli gruppi editoriali. Nel 2016, infine, Apple dovette pagare 450 milioni di dollari, mentre gli editori si erano accordati per un risarcimento di 166 milioni. Vanno però ricordate le polemiche legate a questa sentenza: aver impedito che i gruppi editoriali facessero cartello aveva senso dal punto di vista dell’antitrust guardando in maniera orizzontale la filiera, cioè confrontando i cinque grandi con le restanti case editrici statunitensi, ma verticalmente fu di fatto stroncata l’unica vera iniziativa di contrasto allo strapotere di Amazon, che infatti poco dopo ha potuto strappare condizioni vantaggiose trattando accordi separati. In altre parole, l’azione dell’antitrust ha mirato a evitare la formazione di cartelli anche a costo di rafforzare ulteriormente un monopolio esistente su un altro piano.
Torniamo all’attualità . È il 4 febbraio, e nell’aggiornamento della denuncia newyorkese appaiono stavolta anche i nomi dei cinque gruppi editoriali in qualità di imputati. Non si segnalano novità né tantomeno prese di posizioni ufficiali da parte degli editori o di Amazon stesso. Tra le poche voci della rete che mostrano delle perplessità c’è quella di The digital reader, rivista molto vicina alla piattaforma di e-commerce. Secondo il fondatore del sito, non c’è nessuna prova di cospirazione nelle motivazioni della denuncia: cinque contratti negoziati tra loro in maniera indipendente non possono costituire un’azione illecita orchestrata.
15 febbraio: quattro diversi processi vengono uniti, avendo tutti per oggetto la presunta condotta anticoncorrenziale di Amazon e delle compagnie con cui ha stretto accordi. La class action si è indirizzata sul suo binario definitivo, a partire da questo momento la parola passa alle parti. Ci saranno 45 giorni per riformulare l’accusa, dopo di che Amazon avrà altrettanti giorni per presentare la sua risposta. Dato che, con ogni probabilità , gli avvocati della difesa peroreranno un’istanza di archiviazione, le parti verranno ascoltate nuovamente: 45 giorni per la parte lesa e altri 30 per la difesa.
Si potrebbe pensare che tra questa situazione e quella del 2011 cambi solo lo sparring partner: Apple prima, Amazon poi, in un meccanismo di – presunti – illeciti a vantaggio anche degli editori. Le cose in realtà non stavano così prima e, se si presta attenzione alle parole dello stesso impianto accusatorio, non stanno così neanche ora: come ricorda il Wall Street Journal, lo studio legale di Hagens Berman sostiene che «Amazon pretende commissioni molto alte dagli editori, garantendo in cambio un innalzamento del prezzo di vendita degli e-book sul proprio sito. […] In un mercato competitivo, essi potrebbero vendere e-book a prezzi più bassi sul proprio sito o sui portali dei competitor di Amazon, che richiedono commissioni minori», senonché è proprio l’accordo a impedire quest’ultima azione. Da questo fatto è possibile trarre una conclusione: sempre supponendo la validità dell’impianto accusatorio, Amazon avrebbe utilizzato la sua posizione dominante sul mercato per tenere alti in maniera artificiale i prezzi, e gli editori sarebbero coinvolti nella misura in cui hanno stretto un accordo per loro preferibile a una situazione alla lunga insostenibile, nella quale Amazon avrebbe continuato ad applicare prezzi troppo bassi per stroncare la concorrenza. In altre parole: se nel caso Apple i big five partivano da una posizione di forza (ma senz’altro non di dominio del mercato), e proprio per questa posizione sono stati indirettamente condannati, adesso sono perseguiti mentre si trovano in una situazione di debolezza relativa: avrebbero subito la presunta condotta anticoncorrenziale, pur avallandola, anziché pianificarla.
È ozioso porsi la questione degli esiti di questo processo, anche perché l’impressione che se ne ricava è che in ogni caso gli editori ne usciranno sconfitti: che la class action abbia successo o meno i cinque gruppi manterranno una posizione di inferiorità nei confronti di Amazon, a prescindere dalle strategie commerciali e dalla politica dei prezzi relativa che quest’ultimo adotterà . Le domande che possiamo porci sono altre. È davvero possibile per via giudiziaria ristabilire delle condizioni di libero mercato che siano effettive? Erano immaginabili altre iniziative? A quali scenari dobbiamo prepararci adesso? Quale sarà il ruolo di Biden, se è vero che l’opposizione di Obama fu decisiva nella vicenda Apple? Sono domande che non riguardano il solo caso americano, e non soltanto Amazon. È in gioco una problematizzazione dell’intera filiera editoriale: pensare a delle risposte è un compito che riguarda tutti.
Dottorato in filosofia a Firenze, Master in editoria di Unimi, Aie e Fondazione Mondadori. Attualmente lavoro presso l'Ufficio studi Aie. Mi interessano i dati della filiera editoriale e le loro possibili interpretazioni.
Guarda tutti gli articoli scritti da Bruno Giancarli