Primo appuntamento del calendario editoriale, quest’anno il Seminario di perfezionamento della Scuola per librai Umberto e Elisabetta Mauri ha animato gli spazi della Fondazione Cini, a Venezia, dal 23 al 26 gennaio.
L’ultima giornata, aperta al pubblico grazie allo streaming, è stata seguita da professionisti e appassionati del libro da tutta Europa e oltre, articolando la riflessione attorno al tema Nuove sfide e déjà vu, a cui hanno preso parte Michael Busch (ceo di Herder Thalia Holding), James Daunt (ceo di Waterstones e Barnes & Noble), Sophie de Closets (preside e direttrice generale di Flammarion), Andrew Franklin (presidente di Profile Books), Denis Mollat (uno dei maggiori librai indipendenti francesi), Felicitas von Lovenberg (direttrice editoriale di Piper Verlag), coordinati da Stefano Mauri (presidente e ad di GeMS e vicepresidente della Fondazione Mauri: al presidente, Alberto Ottieri, abbiamo dedicato questa intervista) e moderati da Porter Anderson (fondatore e direttore di Publishing Perspectives).
Ma andiamo con ordine e partiamo dal mercato, grande protagonista a Venezia con i suoi numeri e le sue riflessioni tracciate sull’anno da poco concluso. In concomitanza con la giornata conclusiva del Seminario, infatti, l’Associazione Italiana Editori ha reso pubblica l’analisi di mercato sull’editoria trade nel 2023, realizzata in collaborazione con Nielsen BookScan e IE Informazioni Editoriali.
«Nel 2023 il mercato non è andato male – ha commentato il presidente di AIE Innocenzo Cipolletta – ma il 2024 sarà una sfida difficile per il venir meno di alcune misure a sostegno della domanda di libri, mentre la crescita dei costi di produzione pesa sui bilanci degli editori. Per questo chiediamo una politica industriale per il libro, che è centrale nella crescita economica e culturale del Paese».
D’altro canto, ha continuato Cipolletta, la buona crescita della narrativa italiana, «ma direi più in generale dell’autorialità italiana, è il segno della crescente competitività dell’industria editoriale nazionale che si presenta quindi alla Fiera del Libro di Francoforte 2024, dove l’Italia è Ospite d’Onore, con tutte le carte in regola per imporsi ancora di più di quanto non faccia oggi sui mercati internazionali».
Con riguardo invece al panorama europeo, il presidente della Federazione europea degli editori Ricardo Franco Levi ha confermato che il libro è la prima industria culturale del Vecchio Continente: «Sei dei primi 10 gruppi editoriali mondiali hanno sede qui». Levi ha aggiunto che il 2024 vedrà la Fep ancora impegnata nella difesa del diritto d’autore, soprattutto in relazione alla regolamentazione dell’Intelligenza Artificiale. «Chiediamo, in particolare, l’obbligo della trasparenza sui dati utilizzati per allenare gli algoritmi a carico delle aziende che sviluppano strumenti di IA».
L’Intelligenza Artificiale, con i suoi rischi impliciti ma anche con le sue potenzialità, è d’altronde una delle «nuove sfide» su cui si è confrontata la tavola rotonda condotta da Porter Anderson, che ha aperto i lavori ricordando che, nonostante la sensazione di déjà vu che possiamo avere nel confrontarci con i temi oggi emergenti, le soluzioni da cercare sono nuove e diverse, perché nuovo e diverso è il campo da gioco e i fattori intervenienti.
«Parlare di Intelligenza Artificiale è confrontarsi con un ossimoro disturbante» ha sottolineato il libraio Danis Mollat nel suo intervento, raccontando come già qualche anno fa l’editoria si fosse confrontata con il fenomeno – molto meno dirompente – del self publishing. Se all’epoca, infatti, a essere messo in discussione era il ruolo dell’editore, oggi è addirittura quello dell’intera filiera del libro, autore compreso: come creatore di opere e come legittimo detentore di diritto d’autore. «Stabilire norme e limiti, tutelare la professionalità», queste le priorità indicate da Mollat per sviluppare un’IA che sia di supporto e sostegno all’editoria, senza minacciarla.
Più fatalista è l’editore Andrew Franklin che ricorda come l’attività di lettura a stampa, pur nel suo endemico contenimento, rimanga stabile nelle fluttuazioni e nelle congiunture del tempo. E come, di conseguenza, i mestieri dell’editore e del libraio siano stati sempre, stabilmente, complessi.
Pensiamo ad esempio all’editoria digitale, esorta Franklin: oggi gli audiolibri crescono e gli e-book calano. L’unica vera esplosione è quella del podcast, ma si tratta di un formato al momento non monetizzato. L’audio, come l’Intelligenza Artificiale, «è solo una cosa in più che sembra minacciare la stampa dei libri fisici e la loro diffusione».
Per Michael Busch la maggior sfida della contemporaneità continua a essere quella con le grandi piattaforme distributive, di cui Thalia – piattaforma a sua volta – si propone come alternativa. Busch ne fa una questione di affidabilità del partner: consorziarsi a una piattaforma per veder circolare i propri contenuti è indispensabile, d’altronde «una volta che le piattaforme [e non è sbagliato leggere «Amazon»] avranno accesso ai vostri clienti schiacceranno tutti gli altri agenti della filiera per arrivare diretti da loro» ammonisce Busch tracciando i contorni di quella che per molti anni abbiamo chiamato disintermediazione. Con Chat GPT succederà lo stesso, avverte Busch, ma il riferimento è ancora una volta alla dimensione e alla possibilità di uso e abuso di posizione dominante propria della big tech sul piatto.
«L’unica cosa che continua a essere inequivocabilmente chiara è che la qualità è importante» racconta James Daunt con riferimento ai suoi punti vendita Waterstones e Barnes & Noble. «Le nostre librerie migliori vanno benissimo, fatturando dal 30 al 50% in più dei negozi meno curati»: si direbbe un buon vantaggio competitivo rispetto all’Intelligenza Artificiale. E allora cos’è che rende una libreria una buona libreria? Il personale che ci lavora, asserisce Daunt: «Quello che contano sono le persone. Un buon manager capace di prendersi cura di un ottimo team. E investire a lungo termine nelle carriere dei librai».
Se per la libreria librai e lettori sono la più preziosa assicurazione sul futuro, Sophie de Closets mostra come per l’editore la prima ricchezza sia l’autore, che va quanto più possibile fidelizzato in una relazione di lungo corso. In questo paradigma, sebbene l’obiettivo principale rimanga l’allungamento della vita commerciale del titolo, nessun’altra possibilità trasformativa deve essere esclusa. «So che il paragone con l’industria musicale non è molto sensato, eppure lì, avendo perso i ricavi provenienti dai supporti fisici, hanno dovuto cercare il margine nelle performance dal vivo: Kanye West si fa pagare per dare il 5 ai fan alla fine dei concerti. Non conosco un singolo autore che oggi potrebbe fare soldi in questo modo, ma dobbiamo capire come riportare scrittrici e scrittori al centro delle vite delle persone. È ciò su cui dovremo concentrarci nei prossimi anni».
Il contributo di Felicitas von Lovenberg alla tavola rotonda vira invece la discussione in direzione del mercato internazionale e della compravendita dei diritti di edizione. «Sempre più giovani in Germania vogliono leggere i libri in lingua originale, soprattutto se questa lingua è l’inglese, così come vedono le serie in lingua originale su Netflix». Sul mercato globale delle piattaforme digitali ciò è particolarmente semplice: i lettori trovano i titoli in inglese prima e addirittura a prezzo inferiore, perché – racconta von Lovenberg – in Germania la legge sul prezzo fisso non coinvolge l’edizione in lingua originale. «Noi vogliamo partecipare a questo cambiamento culturale, ma come editori vorremmo essere partner delle edizioni originali distribuite nel nostro Paese, per scongiurare il rischio di erosione del mercato tedesco». Anche se a essere scongiurati, vale la pena sottolinearlo, dovrebbero essere anche gli effetti avversi sul resto della filiera, a partire dai traduttori.
Nel ricomporre le tesi e le sintesi che si sono stratificate nell’ultimo giorno del quarantunesimo Seminario di perfezionamento, Stefano Mauri ha voluto sottolineare quanto il web, lungi dall’essere il nemico, abbia riportato il libro al centro della vita culturale. «I giovani sui social amano parlare di libri, e in tutta Europa stanno affollando le librerie. Come incoraggiare, aiutare, servire e fidelizzare questo nuovo pubblico è stato il tema di molti interventi di alcuni dei più grandi e prestigiosi librai e editori dei quattro principali mercati europei: Germania, Francia e Gran Bretagna, oltre che Italia».
Rispetto all’Intelligenza Artificiale, altra innovazione potenzialmente problematica per il settore, Mauri precisa di non sottovalutarne i rischi, «ma molte cose possono cambiare radicalmente, in un modo che è difficile prevedere in questo momento. Come sempre, come per tutte le tecnologie che inizialmente ci hanno spaventato, ci saranno anche opportunità per gli editori e per i librai».
È fondamentale, prosegue Mauri, che tutti siano in grado di sapere quali fonti utilizzano le IA: la direttiva europea in materia punta proprio a questa trasparenza, affinché ciascuno possa reclamare quanto dovuto in termini di diritto d’autore. Mentre come consumatore, chiosa Mauri «vorrei sapere se sto avendo a che fare con un’Intelligenza Artificiale o con un essere umano, se sto leggendo un libro prodotto o meno dall’AI». Chiarezza insomma, possibilità di scelta, e riparo, magari, da bias, «allucinazioni» e fake news: cose che, in linea di principio, non trovano mai posto nei libri pubblicati da un buon editore.
Dal 2010 mi occupo della creazione di contenuti digitali, dal 2015 lo faccio in AIE dove oggi sono responsabile del contenuto editoriale del Giornale della Libreria, testata web e periodico in carta. Laureata in Relazioni internazionali e specializzata in Comunicazione pubblica alla Luiss Guido Carli di Roma, ho conseguito il master in Editoria di Unimi, AIE e Fondazione Mondadori. Molti dei miei interessi coincidono con i miei ambiti di ricerca e di lavoro: editoria, libri, podcast, narrazioni su più piattaforme e cultura digitale. La mia cosa preferita è il mare.
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