Più. È questo il segno che compare sull’andamento del mercato 2011 in Italia alla data del 10 settembre 2011, giorno in cui si chiude il P9 di Nielsen (come si sa, infatti, l’anno è suddiviso dalla società di ricerca in 13 mesi di 4 settimane ciascuno, con gli inevitabili slittamenti rispetto al canonico «30» del mese). Secondo il rapporto che è stato presentato alla Buchmesse di Francoforte, i canali trade (librerie, librerie di catena, librerie on-line escluso Amazon per ragioni di raffronto e GDO) hanno dunque fatto segnare a metà settembre un +0,1% a valore e un +0,8% a copie, confermandosi in controtendenza rispetto ad altre merceologie ed altri canali commerciali.
E questa se è, almeno in parte, una buona notizia, non manca di far riflettere sul fatto che la lettura e l’acquisto di libri sia ancora una prassi elitaria di ceti che risentono meno di altri della crisi economica. D’altra parte riflette anche, in questo 2011 non ancora concluso, l’assenza di bestseller eclatanti capaci di vendere e far vendere portando pubblico in libreria che accanto all’ultimo romanzo di successo compri poi anche qualche altro libro.
Questa crescita che, pur presente, è comunque contenuta, potrebbe essere indice del progressivo rallentamento che il settore del libro inizia anche lui a scontare dopo tre anni di crisi e difficoltà economiche.
Difficoltà che iniziano a presentarsi in un momento delicato per le imprese, quello di investimenti consistenti nel digitale: e-book, ma non solo. Il mercato italiano si trova infatti a dover fronteggiare (e a breve dovrà ancora di più) lo barco in forze di operatori stranieri cui si aggiungono, soprattutto per il tessuto dei piccoli e medi editori e delle librerie indipendenti, sempre maggiori criticità finanziarie rispetto ai fornitori e alle banche. A tutto ciò si dovranno poi sommare gli effetti dei tagli da parte degli enti locali a tutte quelle iniziative – festival letterari, fiere e saloni del libro – che in questi anni hanno svolto un ruolo importante nell’allargamento del mercato.