Dopo 13 mesi di minuziosa analisi ieri il giudice dello stato di New York, Denny Chin, ha respinto la seconda bozza del settlement con cui Google cercava di stabilire un accordo con gli editori.
«L’accordo non è giusto, adeguato o ragionevole», così si legge nelle quarantotto pagine della sentenza. L'intesa presentata avrebbe consentito a Google, che ha nel proprio archivio già 15milioni di testi digitalizzati, di “sfruttare” i libri senza il permesso dei titolari di copyright, dando a Mountain View un «significativo vantaggio sui competitor, e premiandola per la copiatura di lavori coperti da copyright senza però avere il permesso».
Chin propone una soluzione: permettere ai titolari di copyright la possibilità di decidere se voler partecipare o meno all'accordo fra Google e gli editori. «Dalla digitalizzazione dei libri e dalla creazione di una libreria digitale universale in molti trarrebbero vantaggi», ma l'accordo con Google «va troppo in là» perché a Google sarebbe garantita la possibilità di pubblicare senza permesso.
La notizia dell’accordo, osteggiato anche dall’Aie, ha suscitato il commento positivo del presidente dell’Aie, Marco Polillo, che esprime: «Soddisfazione per il principio sancito dalla sentenza americana e ampiamente condiviso da tutti gli editori europei: il diritto d’autore deve essere concordato preventivamente, non si può, come prevedeva l’accordo di Google, prescindere dalla volontà degli aventi diritto, riconoscendola solo a pubblicazione avvenuta. Questo non ha nulla a che vedere con il fermare il progresso tecnologico ma piuttosto con il garantire nuove regole per nuovi media evitando, come il giudice stesso sottolinea, i rischi di concentrazioni monopolistiche. In questo senso la sentenza del giudice Chin di fatto riconosce il valore del modello europeo, basto sul consenso esplicito degli aventi diritto. Nel farlo cita espressamente i rilievi presentati alla corte da AIE».