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Lettura

I mancati lettori della carta sono diventati lettori di e-book? Il parere di Gino Roncaglia e Pierdomenico Baccalario

di L. Biava notizia del 11 febbraio 2014

Continuiamo questa settimana la nostra indagine sul calo della lettura registrato da Istat e riportato nel recente rapporto Noi Italia. 100 statistiche per capire il Paese in cui viviamo (da cui si apprende tra l'altro che ad essere in crisi è anche la lettura dei quotidiani con appena il 49,4% che dichiara di leggerne uno almeno una volta a settimana) focalizzandoci su due degli aspetti più interessanti che emergono dal report dell’Istituto.
Il primo è sicuramente il calo della lettura registrato per la prima volta nelle fasce giovani della popolazione (i lettori tra i 15 e i 17 anni passano dal 59,8 a 50,6%), un calo che come accennavamo la settimana scorsa (Come mai la lettura non è più veicolo di promozione sociale? Intervista a Bruno Arpaia e Roberto Ippolito), pare comune ad altri Paesi del primo mondo (l’ultima ricerca Pew mostra che anche negli States i lettori adolescenti sono diminiuti di ben 4 punti percentuali nell’ultimo anno) aprendo la strada a chi pensa che i consumi culturali dei ragazzi si stiano sempre più spostando verso altre forme di intrattenimento, spesso veicolate da smartphone e tablet i cui tassi di diffusione sono in costante crescita anche nel nostro Paese.
La seconda riflessione riguarda il rapporto tra il calo della lettura tradizionale che ha perso 1.983.000 lettori tra 2012 e 2013 e la crescita di coloro che dichiarano, con una perifrasi non proprio felicissima di Istat, di aver «letto o scaricato libri on line o e-book» nell’ultimo anno e che sarebbero ben 5,2 milioni di persone. Purtroppo non conosciamo l’indice di sovrapposizione ovvero quanti di questi lettori di e-book sono anche lettori di libri, ma il materiale su cui riflettere non manca (sul Giornale della libreria di febbraio ne parliamo qui e qui mentre Gud ha interpretato il fenomeno in una bella tavola che potete scaricare qui).
Ne abbiamo parlato con Gino Roncaglia, docente dell’Università della Tuscia ed esperto di editoria digitale, e Pierdomenico Baccalario, autore di libri per ragazzi.

C’è una qualche relazione secondo lei tra il calo della lettura tradizionale che sembra colpire soprattutto i forti lettori e quello che secondo Istat sembra essere un aumento dei lettori digitali?
Gino Roncaglia. Il calo nel numero di lettori rilevato quest’anno dall’Istat è un fenomeno assai preoccupante: sia perché una diminuzione del 3% in un anno è notevole e difficilmente può essere interpretata solo come una fluttuazione statistica, sia perché l’analisi dei dati mostra un vero e proprio crollo, superiore ai 9 punti percentuali, in una delle fasce d’età più importanti, quella dei giovani fra i 15 e i 17 anni.
Proprio questo dato rende assai difficile attribuire alla sola crisi economica la riduzione nella propensione alla lettura: non si vede infatti per quale motivo la crisi economica dovrebbe avere conseguenze così fortemente differenziate su fasce d’età diverse, e colpire in maniera così sproporzionata una fascia d’età prevalentemente impegnata nella formazione scolastica più che in attività lavorative. Inoltre, se il calo fosse legato solo alla crisi dovrebbe risultare maggiore nelle categorie socialmente meno protette, mentre vediamo che il calo fra gli uomini è proporzionalmente più alto rispetto a quello riscontrabile fra le donne, e che il calo fra laureati e diplomati è proporzionalmente maggiore rispetto a quello riscontrabile fra chi ha solo licenza elementare o non ha titoli di studio.
E allora? A ben guardare, i dati sembrano in primo luogo dirci che la crescita nelle percentuali di lettura alla quale avevamo assistito negli ultimi decenni non ha ancora basi abbastanza solide: il numero di lettori forti rimane limitato (e tende anzi anch’esso a ridursi), e i lettori deboli restano a forte rischio di ricadere fra i non lettori. Fattore, questo, assai diverso da quello riscontrabile nella diffusione di altri media (e in particolare dei media digitali). In secondo luogo, sembra suggerire che fra i fattori che sottraggono spazio al libro ve ne siano alcuni che interessano particolarmente da vicino proprio la fascia di età compresa fra i 15-17 anni. Difficile non collegare questo dato con la diffusione dei dispositivi mobili (smartphone, tablet) e dei social network, che proprio in questa fascia di età hanno una diffusione particolarmente alta. Se i dati confermano nel complesso che una dieta mediatica ricca è amica e non nemica della lettura, sembrano dunque anche indicare che la disponibilità di strumenti digitali usati nelle stesse situazioni tipiche della lettura (in poltrona, a letto, in mobilità…) sottrae di fatto tempo al libro.
Gli e-book possono allora aiutare a colmare questo calo? L’esperienza degli Stati Uniti, in cui il calo del mercato cartaceo è stato negli ultimi due anni compensato dalla crescita della lettura digitale, sembrerebbe suggerire di sì. Ma l’ottimismo potrebbe non essere giustificato: da un lato, lo sviluppo degli e-book in Italia è ancora assai limitato, e non è affatto scontato che l’editoria digitale possa raggiungere la stessa quota di mercato detenuta negli Stati Uniti in tempi altrettanto rapidi. In secondo luogo, gli stessi dati Istat ci mostrano come la penetrazione degli e-book riguardi soprattutto i lettori forti, che peraltro spesso continuano a leggere anche su carta. Il rafforzamento del mercato e-book potrà dunque aiutare a contenere i danni, ma solo in pochi casi potrà trasformare i non lettori in lettori, e contribuire a invertire – come è necessario fare – una linea di tendenza assai pericolosa.
Il lavoro di promozione della lettura deve dunque essere fatto a un altro livello: è soprattutto l’immagine sociale del lettore e della lettura – sia essa su carta o digitale – che deve essere rafforzata.

Come interpreta il calo della lettura registrato per la prima volta anche nelle fasce più giovani della popolazione?
Pierdomenico Baccalario. È il logico risultato di una certa incapacità del nostro Paese di creare nuovi lettori. Una priorità, all'estero. In Uk, ad esempio la registrazione di una nuova futura mamma al servizio sanitario nazionale coincide con il riceve una busta informativa nella quale, tra i tanti sconti e gadget per il nascituro, vi è anche una tessera sconto su Waterstone utilizzabile per un anno. Ovvero: si vuole approfittare dell'evidente maggior tempo libero a disposizione della mamma per invogliarla a diventare una consumatrice di libri, o a comprarli già in previsione di farli leggere al bambino o alla bambina che verrà.
Non è un caso se, nel Regno Unito si è registrato un leggero incremento solo in un settore, quello prescolare (+0,56%). E che l’autrice del momento, star di vendite con 7,7 milioni di sterline di fatturato annuo 2013, sia proprio un'autrice di filastrocche, Julia Donaldson. Nei mercati di riferimento esteri (che sono i due mercati di lingua inglese) a una flessione del lettore tradizionale si è affiancato un aumento di quello digitale, con un incremento percentuale, costante negli anni, del 15%. E a differenza di autorevoli e insopportabilmente datati pareri critici sull'attitudine inglese a voler vendere libri a tutti i costi, magari spacciandoli per merendine, in Uk la vendita di libri per ragazzi è oggetto di campagne scolastiche nazionali intense e costanti: perché è dal successo di queste campagne che dipende la sopravvivenza dell'attività del settore.
Il libro, anche per ragazzi, è diventato quello che è per adulti: un mercato di nicchia, con un consumatore forte e onnivoro, da trattare con i guanti. Per gli adulti questa cura dovrebbe essere affidata a un prepotente ritorno della figura del libraio, in veste di angelo di quartiere capace di prevedere i suoi lettori con un incremento degli spettacoli di animazione, di incontri live, di letture e teatralizzazione delle storie (che sono attività su cui alcune case editrici estere stanno investendo moltissimo).
L'alternativa è un polveroso declino. Un recente sondaggio su oltre 2.000 bambini inglesi ha evidenziato come il libro sia all'ultimo posto nella classifica di apprezzamento di ciò che piace fare nel tempo libero. Ai primi posti ci sono App, tablet e smartphone. Non è difficile capirne il motivo: i bambini aspirano a essere grandi copiando, dai grandi, i comportamenti che giudicano significativi e identificativi. E la nostra società adulta non è una società in un cui la lettura sia un sinonimo «cool» dell'essere adulti. Lo sono invece i gadget tecnologici e l'ossessione da controllo di Sms e i bambini ci si sono buttati per dimostrare che, almeno lì, sono abili quanto o di più degli adulti che li circondano.
Non basta chiamarli «nativi digitali», quasi che questa etichetta distanziante sia sufficiente a sbarazzarci del loro interesse a studiare imparare e copiare dagli adulti anche i comportamenti peggiori. I bambini leggono meno, in sintesi, perché leggono meno gli adulti. E così facendo fanno anche meno sport: tutte le indagini condotte in Germania, Francia e Usa hanno evidenziato una correlazione diretta tra leggere e fare sport. O, meglio, tra non leggere e non farne affatto.
Dei lettori occasionali inglesi solo un punto percentuale si trasforma in forti lettori. Gli altri diventano, come in Italia, non lettori. Tra gli indicatori più interessanti dello scarso acquisto di libri, però, ce ne è uno legato al diverso concetto del possesso delle nuove generazioni. Sempre più ragazzi identificano la proprietà con l'accesso: non vogliono «avere» un libro, quando la possibilità di leggerlo. E se la possibilità si traduce in uno sterminato catalogo perennemente a disposizione, diminuisce il senso di urgenza del dover leggere qualcosa qui, ora. L'emozione di essersi procurato un qualcosa di esclusivo e personalissimo. Per loro, invece, c'è qualcosa di nuovo, rumoroso e improvviso pronto a distrarli e a dare la sensazione di essere tremendamente divertente. 

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