Il tuo browser non supporta JavaScript!
Vai al contenuto della pagina
Lettura

American Writers Museum, un luogo per celebrare scrittura e scrittori

di Elena Refraschini notizia del 24 novembre 2015

Attenzione, controllare i dati.

Aprirà a inizio 2017 l’American Writers Museum, il primo museo del suo genere negli Stati Uniti perché dedicato non a uno specifico scrittore, ma all’influenza che gli scrittori hanno avuto e continuano ad avere sulla storia, sull’identità, sulla cultura e sulla vita quotidiana della nazione.
In una conferenza stampa di pochi giorni fa, il fondatore Malcolm O’Hagan ha ufficialmente annunciato che il museo sarà ospitato in uno spazio di oltre tremila metri quadrati nella centralissima zona di Millenium Park, a Chicago.
L’AMW è la concretizzazione del sogno dell’ex ingegnere irlandese O’Hagan, che da cinque anni raccoglie fondi per creare un’istituzione simile all’illuminante Writers Museum di Dublino.
Il GdL ha incontrato il direttore esecutivo Nike Whitcomb nella natia Chicago per parlare di questa coraggiosa impresa.

Com’è nata l’idea di creare un museo dedicato agli scrittori americani?
Il fondatore, Malcolm O’Hagan, irlandese che ha passato la maggior parte della sua vita negli Stati Uniti, lavorava alla Libreria del Congresso, e i visitatori continuavano a chiedergli «ma questo è il museo degli scrittori?». Ovviamente no, è la biblioteca dove viene depositata una copia di ogni libro stampato negli Stati Uniti. Esistono musei degli scrittori a Dublino, in Brasile, in Giappone, in Cina ma non ce n’era uno negli Stati Uniti. Ha iniziato così a parlarne, ricevendo finanziamenti per testare la fattibilità del progetto, e siamo partiti. Tutti pensavano fosse una buona idea.

Perché proprio a Chicago?
Chicago è una buona scelta perché è centrale negli Stati Uniti, e poi non è solo una grande città in termini di popolazione ma anche in numero di turisti che arrivano ogni anno, è una città aperta e facile da girare. In più, ci sono diversi autori americani molto importanti che sono cresciuti o hanno lavorato qui. L. Frank Baum che ha scritto Il mago di Oz, Hemingway è cresciuto a Oak Park, ma penso anche a Gwendolyn Brooks, Richard Wright, Lorraine Hansberry, Studs Terkel: scrittori attivi in generi differenti, ma che hanno lasciato un segno qui a Chicago.

Nike, lei si occupa da oltre quarant’anni di fundraising per iniziative legate alla cultura. Può spiegarci come funziona questo settore?
La filantropia è un’industria da 360 miliardi di dollari negli Stati Uniti: quella cifra è quanto i privati hanno donato l’anno scorso. Il 75% dei nostri fondi viene da persone viventi, un altro 10% circa da persone che, alla loro morte, devolvono una certa cifra ad associazioni, e il resto da fondazioni e corporazioni. Faccio questo lavoro da tanti anni e ho raccolto fondi per le iniziative più varie, so quindi che i privati sono il gruppo a cui dobbiamo rivolgerci, ed è quello che ho fatto: ho pensato a chi, tra le mie conoscenze, sarebbe stato interessato a questo tipo di progetto. Le persone che mi hanno dato l’incarico avevano già i loro contatti, e abbiamo raggiunto così circa 400 persone. Siamo riusciti quindi a raccogliere 2,3 milioni di dollari. Alcuni hanno dato quantità davvero importanti di denaro, altri pochi dollari, ma alla fine ognuno ha contribuito alla creazione di questo museo.
Affittare lo spazio e costruire le mostre costerà 6,5 milioni di dollari. Abbiamo ancora bisogno di 4 milioni. Ci sarà bisogno di fondi poi per continuare a funzionare per tre anni, che sono altri 3,5 milioni. Ci sarà comunque la possibilità di diventare soci tramite donazione annua e l’ingresso al museo costerà dieci dollari (ma sarà gratuito per i bambini, e ci sarà un sistema di scontistica). Se non riuscissimo a raccogliere 3,5 milioni non sarà insomma la fine del mondo.

Il museo fa parte di una rete di una cinquantina di luoghi letterari americani. Cosa significa?
Dei volontari hanno iniziato a contattare i musei e le case degli scrittori in tutti gli Stati Uniti per chiedere la loro disponibilità ad affiliarsi a noi. 48 hanno accettato. Questi significa che ci saranno collaborazioni tra i diversi enti per quanto riguarda le mostre e si lavorerà insieme per migliorare la visibilità di ognuno. Per esempio, vogliamo organizzare una mostra sulle scrittrici americane del Diciottesimo secolo: allora contattiamo la Emily Dickinson House, la May Alcott House eccetera perché possano darci qualcosa in prestito (oggetti, manoscritti, eccetera), e in cambio porteremo la nostra mostra nel loro museo per creare più interesse verso questa tematica. La cosa interessante è che non c’era affiliazione tra tutte queste realtà prima, quindi ognuno agiva per conto proprio. Invece, stando tutti insieme possiamo farci più pubblicità e ottenere più visite.

Può raccontarci come sarà organizzato il museo?
La sede, come annunciato da poco, sarà al 180 di North Michigan Avenue, vicino al Millenium Park. È una zona molto ben collegata. Occuperemo tutto il secondo piano di un grande edificio, cioè 3 mila metri quadrati circa di spazio. 300 metri quadrati saranno dedicati alle mostre itineranti.
Ci sarà uno schermo interattivo all’ingresso, che una volta inserito il tuo CAP ti informa su quali sono gli scrittori importanti per il luogo dal quale provieni. Ci sarà una mappa degli Stati Uniti con tutti i luoghi letterari che si possono andare a visitare (simile alla mappa “Literary America” consultabile sul nostro sito web). Avremo una sala chiamata «Surprise Bookshelf» dove i libri si apriranno digitalmente e potrai scoprire di più sull’autore, su cosa l’ha motivato a scrivere, sui personaggi, sui luoghi in modo divertente e interattivo. Ci sarà uno spazio per i reading d’autore, per i quali prevediamo di collaborare con le librerie di Chicago. Ci sarà una stanza chiamata «la mente dello scrittore» che ti farà provare cosa significa essere uno scrittore, giocando con la scrittura e le parole.

Organizzare la letteratura americana in modo tale da adattarla a un’esposizione coerente è uno sforzo titanico. Chi se ne occupa?
C’è un gruppo di accademici da tutti gli Stati Uniti che si chiama Subject-matter Experts: si incontrano regolarmente dall’anno scorso per decidere i contenuti del museo, quali scrittori ospitare, eccetera. Il gruppo è guidato da Andrew Anway, fondatore di Amaze Design, un’azienda che si occupa di pianificazione e design di musei e mostre.
Quanti visitatori vi aspettate?
Ci aspettiamo circa 120 mila visitatori l’anno, quindi 10 mila al mese. Sono 500 persone al giorno, e abbiamo lo spazio per poterle gestire al meglio.

Come si coinvolgeranno i bambini in questo museo? Sono i lettori del futuro, c’è uno spazio a loro dedicato?
Parte del nostro sforzo consiste nella digitalizzazione di oltre trecento libri, così da rendere la lettura più interattiva e user-friendly possibile. Stiamo testando tecnologie che non sono mai state usate prima nei musei e che non sarebbe stato possibile usare cinque anni fa, per poter rendere l’esperienza fresca e moderna. Tanti autori americani hanno creato capolavori della letteratura per l’infanzia, di cui si parlerà in tutto il museo; ci sarà anche, però, una galleria dedicata solo ai bambini.

La vostra pagina facebook è attiva già da molto tempo: come pensate di gestire la comunicazione del museo?
Abbiamo profili Facebook, Twitter, Pinterest, e presto potenzieremo il nostro profilo su Instagram. Avremo anche un blog che ospiterà gli interventi di diversi scrittori su temi specifici ogni settimana, per esempio l’impatto dei romanzi americani sui film, o i dieci migliori racconti americani.

Dato l’argomento, non posso trattenermi dal porle l’inevitabile domanda: quali sono i suoi scrittori americani preferiti?
Ho studiato letteratura inglese all’università e amo leggere, per questo sono stata felicissima di accettare questo lavoro. Ero solita leggere due o tre libri alla settimana, ma adesso a causa degli impegni lavorativi non riesco più a mantenere questo ritmo. Adesso riesco a leggerne uno alla settimana: e non mi sembra di fare chissà quale sforzo, perché posso leggere sui mezzi mentre vado e torno dal lavoro, o la sera prima di andare a dormire. Naturalmente, ho una lista d’attesa di circa 75 titoli che aspettano di essere letti. È un bel problema!

 

 

 

L'autore: Elena Refraschini

Dopo aver vissuto negli Stati Uniti e in Cina mi sono stabilita a Milano. Se non ho tra le mani un libro (e tre in borsa), sono rannicchiata vicino al finestrino di un treno a lunga percorrenza, armata di diario e macchina fotografica. Lavoro nell'editoria e nella scuola, e dal 2010 mi occupo per il Giornale della libreria di storie di libri e librerie nel mondo.

Guarda tutti gli articoli scritti da Elena Refraschini

Inserire il codice per il download.

Inserire il codice per attivare il servizio.