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Innovazione

Il self publishing e il paradigma delle piramidi marziane

di G. Peresson - E. Vergine notizia del 11 marzo 2014

Secondo Mark Coker, fondatore di Smashword, entro il 2020 i libri autoprodotti costituiranno il 50% delle vendite degli e-book negli Usa dove la questione è già al centro di un vero e proprio dibattito. Nel suo blog su «Huffington Post» Coker ha dettagliato la sua previsione partendo dall’assunto che, sebbene i numeri del mercato attualmente lo facciano sembrare un visionario, i trend sembrano dargli ragione.
Ora, la posizione di Coker sul futuro del self publishing è a dir poco apocalittica per quanto riguarda librai ed editori, dei quali profetizza la progressiva perdita di centralità all’interno della filiera. Fino a decretarne la definitiva scomparsa a opera degli e-book autopubblicati. Naturalmente la morte del libro di carta è uno degli argomenti più popolari per le cassandre dell’era digitale, che sostengono la loro posizione con una convinzione che avrebbe fatto sfigurare i profeti Maya.
Due considerazioni preliminari. La prima è che fare previsioni (al 2020; ma perché non al 2019? O al 2021? Perché l’anno suona cabalisticamente bene?) per qualsiasi prodotto nella sua fase di introduzione è – come qualunque corso di economia aziendale dovrebbe saper insegnare – una pratica semplicemente priva di senso. La seconda, è che il paradigma adottato, quando si parla di futuro digitale, è simile a quello adottato dagli «studiosi» di fantarcheologia: prendere dei dati di fatto della tradizionale archeologia (ad esempio, per la piramide di Cheope, i canali di areazione delle camere sepolcrali), e inserirli in un contesto che li porta a concludere che la datazione va retrocessa a di 7-8 mila anni, attribuendo la costruzione dell’edificio a una perduta civiltà e poi che siano gli altri studiosi a trovare le prove per smentire la teoria così prodotta.
Ecco allora la sintesi delle 10 ragioni per cui il fondatore di Smashword sostiene che nel 2020 non ci saranno più editori, librerie, e libri di carta, perché il self-publishing digitale avrà conquistato la Bastiglia difesa dagli editori e le loro teste saranno rotolate nel cesto degli e-reader o dei tablet.
In corsivo alcuni nostri rilievi che permettono di sostenere esattamente l’opposto. O comunque, che la situazione, sarà connotata in senso un po’ meno manicheo di quanto ci si vuol far credere. 

  • La carta sarà sempre meno il supporto in cui si sceglierà di leggere i libri, una transizione agevolata dal minor prezzo dei libri digitali, dalle possibilità di scelta, dalla facile ricercabilità e dall’immediata possibilità di fruizione.
    Altre indagini indicano la capacità del libro tradizionale di riposizionarsi accanto a quello digitale. Negli Usa, la vendita di libri cartacei è tornata a crescere e l’e-book ha sembra aver raggiunto una sua prima fase di maturità di prodotto.
  • Le librerie fisiche stanno scomparendo poco a poco e così sarà anche per il loro core business: il libro tradizionale.
    Se è vero che le librerie accusano il colpo, proprio il nuovo quadro competitivo ha portato, accanto a una sorta di selezione naturale, a nuove specie di librerie ibridate con prodotti e servizi che una volta non si immaginavano assolutamente in una libreria ma che chi entra in questi spazi ha piacere di trovare. Sempre negli Usa assistiamo inoltre a nuove forme di sviluppo soprattutto delle librerie indipendenti.
  • Il valore percepito degli editori diminuirà sempre più agli occhi degli scrittori. Con la perdita di centralità della distribuzione dei libri a stampa, anche la figura editoriale perderà importanza.
    La scelta di autopubblicarsi non implica affatto una perdita di valore degli editori agli occhi degli scrittori. Come nel caso di Amanda Hocking o di EL James, il self publishing funge spesso da trampolino di lancio per poi approdare all’editoria tradizionale. Una scelta che non esprime soltanto il desiderio degli autori di essere distribuiti nei canali tradizionali, ma anche quella di affidare la promozione dei propri libri e la vendita di diritti in mani esperte per dedicarsi interamente alla loro passione: la scrittura e la capacità di inventare storie e mondi narrativi.
  • La qualità delle pubblicazioni indipendenti è in aumento. In futuro qualità e differenziazione continueranno ad aumentare con la diffusione e la condivisione delle best practice di pubblicazione.
    L’aumento della qualità delle pubblicazioni self published è un dato positivo anche per l’editoria tradizionale che spesso guarda proprio alla galassia degli autori autopubblicati per fare talent scouting. Certo tutto il fenomeno implica da parte delle case editrici la capacità di avere nuove figure di agenti letterari e uno scouting che non può più essere fatto solo a Francoforte, Bologna o Londra.
  • L'idea del self publishing come vanity press sta scomparendo, gli autori indipendenti si sono guadagnati il rispetto dei lettori.
    Sarà, ma in Italia sul sito de ilmiolibro.it il 19% solo libri di poesia rispetto al 33% di romanzi. E la narrativa di genere non arriva al 6%. Stiamo parlando ovviamente di carta e non del mercato nordamericano dove la narrativa di genere in termini di titoli prodotti è ben più alta.
  • Il numero di e-book autopubblicati continuerà a crescere. Mano a mano che il self publishing acquisterà credibilità, sempre più esordienti lo abbracceranno come la loro prima opzione. Attualmente si comincia con la pubblicazione di e-book gratuiti sulle varie piattaforme di distribuzione per arrivare ai retailes globali.
  • Gli autori self published che raggiungono il successo oggi diventeranno i mentori della prossima generazione, condividendo con le nuove leve i segreti della loro fortuna.
    Gli spazi generazionali proposti rendono l’arco temporale su cui il ragionamento di Mark Coker si sviluppa (oltre il 2050?) analogo a quello della colonizzazione di Marte.
  • La remunerazione offerta del self publishing trascende quella convenzionale degli editori: gli autori indipendenti godono di un totale controllo creativo, di un minor time to market, sono i padroni del loro futuro professionali e hanno la flessibilità per innovare e far evolvere i loro e-book che non saranno mai messi fuori catalogo. Hanno la possibilità di accontentare i loro fan come e quando vogliono e godono di royalty da quattro a cinque volte più grandi dei loro colleghi che si affidano agli editori.
    Questi vantaggi riguardano più le possibilità offerte dai contenuti digitali che la funzione editoriale vera e propria. Una funzione che sta evolvendosi a sua volta proprio per rispondere ai cambiamenti in corso. Sulla retribuzione degli autori self published anche qui esistono due correnti di pensiero che si appellano a dati diversi. Per saperne di più rimandiamo a Autori e self publishing. In ogni caso nella remunerazione che le piattaforme come Amazon propongono agli autori non sono compresi i costi (valorizzazione del proprio tempo) in marketing e comunicazione che l’autore deve sostenere per gestire il suo blog, ecc.
  • Ai lettori non interessa il nome dell’editore sul «dorso» dell’e-book. L’unico brand che conta è quello dell’autore. Gli scrittori indipendenti stanno imparando ad usare la gratuità (o il basso prezzo) dei loro libri per costruirsi un parco lettori con una velocità che non sarebbe possibile sotto l’ala di un editore tradizionale.
    Se l’unico brand che conta è quello dell’autore allora perché fare del prezzo basso o della gratuità dei libri la leva principale per acquisire nuovi lettori? E il brand dell’autore vale sempre e comunque?
  • Siamo in presenza di un divario crescente tra autori ed editori. Consapevoli delle loro potenzialità i vincoli imposti dagli editori agli autori stanno a questi ultimi sempre più stretti.
    Il self publishing è in realtà per gli editori un’occasione per riflettere e ripensare al proprio ruolo, alla propria funzione, al proprio modello di business nella direzione di una sempre maggiore comunità d’intenti con i propri autori. E non riguarda solo l’editoria libraria ma anche quella dell’informazione. Riprendo un brano dell’editoriale del direttore di «Internazionale» aveva scritto nel giugno scorso, su un tema per molti aspetti simile: «Qualche anno fa a Ferrara [nel Festival di Internazionale», David Randall si divertì a chiedere alle centinaia di ragazze e di ragazzi che l’ascoltavano quanti sarebbero stati disposti a farsi operare d’appendicite da un “citizen chirurgo” o a farsi difendere in tribunale da un “citizen avvocato”. Il citizen journalism, cioè il gornalismo partecipativo […] offre grandi opportunità. […]. È impossibile che i giornalisti riescano ogni volta a trovarsi nel posto giusto al momento giusto, mentre è sempre più probabile che lì dove succede qualcosa ci sia almeno una persona con lo smartphone. Per questo i citizen journalist sono alleati dei giornalisti. E viceversa: senza l’esperienza dei giornalisti professionisti, senza la loro capacità di dare senso al materiale grezzo che arriva dai lettori, quel flusso resta informe. È solo quando finisce in prima pagina sul “New York Times” che la foto scattata dal lettore diventa notizia».

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