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Francoforte 2024

«La letteratura non si tocca: ogni tentativo di intimorirla o censurarla non deve passare mai». Così Baricco alla Buchmesse

di Elisa Buletti notizia del 22 ottobre 2024

All’interno del programma letterario curato dall’Associazione Italiana Editori in occasione dell’Italia Ospite d’Onore 2024 alla Fiera del libro di Francoforte – che ha portato in fiera più di ottanta scrittrici e scrittori italiani – è stato affidato ad Alessandro Baricco un «assolo» dedicato al rapporto tra letteratura e impegno civile. Tenutosi venerdì 18 ottobre al padiglione italiano davanti a un grande pubblico, riportiamo di seguito il discorso per intero, come interessante spunto di riflessione offerto da uno degli scrittori più importanti della letteratura italiana dei nostri tempi.

«Mi sono scelto un tema un po’ impervio, molto scomodo, per questo speech» così Baricco inizia il suo intervento. «Letteratura e impegno civile è una coppia che va spesso in frizione e nei tanti anni che ho passato a scrivere libri e a cercare di fare letteratura bene – meglio che potevo – periodicamente si è presentato nella mia quotidianità come un tema aperto. Anche recentemente, proprio per le vicende che riguardano questa fiera e questa avventura italiana è tornata un po’ in tutti noi l’urgenza, la necessità, di pensare a questo rapporto tra scrittori e potere, tra il gesto di fare letteratura e l’impegno civile, cioè il gesto di cercare di correggere delle ferite della realtà nelle nostre comunità.
Di questa faccenda, devo essere sincero, negli anni non ne sono uscito con delle certezze: a tutt’oggi non saprei veramente insegnare qualcosa di chiaro a un mio allievo su questo tema. Perché ne parli allora, direte voi. Al di là delle convinzioni, ho dei pensieri istintivi su questa vicenda che mi accompagnano da quando sono ragazzo, e ho scelto questa piccola microcomunità e questa avventura italiana alla fiera di Francoforte per provare a pronunciarli».

Quattro i ragionamenti secondo cui Baricco ha articolato il suo pensiero. «Il primo pensiero è che mi è molto evidente che il gesto con cui si fa la letteratura e quello in cui si pratica l’impegno civile sono due azioni abbastanza lontane tra loro e non bisogna pensare che si debbano avvicinare più di tanto. Prevedono una postura nei confronti del mondo differente, nel senso che bisogna proprio cambiare posizione per passare da un gesto all’altro.
Mi aiuto con una metafora: immaginate la realtà come un grande tappeto. Gran parte delle cose che noi possiamo fare, quasi tutte, nel capitolo del gesto "impegno civile" riguardano il tappeto e quello che noi vediamo del tappeto. Vediamo delle ferite, degli strappi, delle irregolarità, delle ingiuste sovrapposizioni e l’istinto a correggerlo con coraggio e con passione è quello che noi chiamiamo impegno civile. Questo gesto implica una postura che è quella di chinarsi su questo tappeto, guardarlo da vicino, sporcarsi le mani, e a volte ci vuole anche della forza per correggerlo».

Veniamo, invece, alla letteratura. «Il gesto con cui si fa letteratura, nel senso più alto, implica un gesto diverso. Penso che in generale la letteratura si applichi al rovescio del tappeto, ovvero si dedica alla trama che sta al di sotto del tappeto. Una trama molto disordinata, caotica, il cui rapporto col sopra è quasi misterioso se non a chi fa i tappeti. E lo sguardo della letteratura che scivola sulla superficie del tappeto fa questo gesto stranissimo di infilarsi sotto e di lavorare su quella trama. È una trama in cui la letteratura può trovare delle figure, a volte semplicemente la descrive e la ricostruisce, a volte riesce proprio a coniare delle figure, che non sono le figure che poi appaiono sul tappeto, sono diverse, ma il loro rapporto con quelle figure è il mistero che tiene insieme letteratura e realtà.
Per fare questo gesto, per andare a leggere e a vivere nel rovescio del tappeto, la postura necessaria implica un movimento molto faticoso e simmetricamente opposto a quello che richiede l’impegno civile. Scivolando in un’altra dimensione, al di sotto, si perde effettivamente anche un po’ il contatto con il tappeto, nel senso che si comincia a vederlo con uno sguardo strano, anche poco lucido».

«È un ragionamento un po’ riduttivo e sintetico: ci sono dei casi in cui tutto questo sistema salta e il gesto di fare letteratura e quello dell’impegno civile ruotano l’uno dentro l’altro, magicamente. Però voglio dire questo: il fatto che esistano questi angeli che passano non spiegano molto sull'esistenza di noi umani, sono delle stelle che passano, ma non ne farei una regola generale. Infatti, la situazione più abituale che ci capita di vivere mi sembra quella dove è completamente inappropriato costringere la letteratura ad assumere su se stessa il gesto dell’impegno civile, così come sarebbe assurdo imporre all’impegno civile un gesto di tipo letterario. C’è una distanza, fatta di fatica e di un movimento molto intelligente e tutte le volte che riduciamo troppo questa distanza rischiamo, e solitamente perdiamo.
Al di fuori della letteratura, invece, esistono molti gesti di scrittura che sono invece completamente mescolabili, in un mix fortissimo, con l’impegno civile. Naturalmente si può scrivere saggistica, articoli, fare televisione, intervenire online, ma qui parliamo di letteratura» continua Baricco.

«Un secondo pensiero che non mi ha mai lasciato è che la letteratura non si tocca: qualsiasi tentativo di intimorirla, censurarla, emarginarla o perseguitarla non deve passare, mai. E tutti noi che viviamo – se non dentro, almeno intorno – la letteratura siamo coinvolti: dovranno passare sui nostri corpi.
La letteratura conserva in sé la capacità di pronunciare storie che sulla superficie della nostra esistenza non arriverebbero, come fosse un grande serbatoio delle storie proibite o semplicemente fuori dalla portata di una fantasia normale, o figlia di uno sguardo così obliquo che ce n’è uno solo. Un grande patrimonio di storie che, anche quando sono seccanti, fastidiose, scandalose, urticanti, per noi è importante conservare da qualche parte del nostro corpo sociale. Abbiamo bisogno che ci sia qualcuno sotto il tappeto a guardare la trama e abbiamo bisogno di mantenere un canale aperto verso l’invisibile, verso quello che è così prezioso da essere concesso solo a pochi esseri umani perché spesso inconfessabile, figlio di uno sguardo così coraggioso, radicale e forte. Per questo noi lo difendiamo, anche quando è seccante. Speriamo che chi confeziona queste storie sia così bravo da farlo in una forma alta, che le renda forti e potenti, armoniche».

Ma quali sono le storie seccanti? Baricco porta qualche esempio: «
Ringrazieremo sempre Nabokov perché ha scritto Lolita, una storia seccante, scorretta, ma è riuscito a farlo in un modo così forte che nessuno può contestarglielo. Quando hanno processato Flaubert, nell’Ottocento, per Madame Bovary, la requisitoria del pubblico ministero è stata molto sensata e c'erano un sacco di ragioni per cui quel libro dovesse essere tolto immediatamente dagli scaffali delle librerie. Ma non vinse il pubblico ministero, vinse l’istinto che noi abbiamo come comunità di tenere aperto, per quanto possibile, il rapporto con ciò di cui abbiamo paura o che è troppo emozionante o di cui non siamo all'altezza o che non vogliamo vedere o che vogliamo vedere così tanto che questo ci porta la cecità. E allora ci sono singole persone che possono traghettare verso di noi o conservare queste storie. Abbiamo bisogno che qualcuno le cristallizzi per noi, abbiamo bisogno di abitare anche là dove non abbiamo coraggio di farlo e un libro, un film, uno spettacolo, è un momento in cui qualcuno ci dà il coraggio di abitare là dentro».

Baricco ci tiene, però, a sottolineare un punto. «Detto ciò, bisognerebbe anche essere molto attenti a pensare che i libri non sono gli scrittori e che la letteratura non vuol dire gli scrittori. La letteratura non si tocca, ma gli scrittori perché no? Perché noi dovremmo godere di una forma di impunità solo perché siamo collegati in qualche modo a un gesto così prezioso per la comunità? Cosa ci dà il permesso di pensare di uscire indenni da qualsiasi manifestazione del nostro pensiero?
La questione è molto spinosa, però in generale penso che si possa scegliere di impegnarsi in una singola storia di impegno civile, e si entra in una partita che c’entra poco con i libri, in cui la letteratura non può schermare o difendere più di tanto. Ad esempio, se io in questo momento facessi serie obiezioni sulle posizioni del Papa sull’aborto, domani tutto quello che mi crollerebbe sulla testa non c’entrerebbe nulla con i libri che ho scritto. Di tutto quello che dico, o faccio, nella mia vita di cittadino, ne risponderò in un’altra sede».

«Un terzo pensiero, riguardo al rapporto tra scrittori e poteri, è che – posto che ci sono alcuni scrittori che sono allineati al potere, così come ce ne sono altri che invece acquistano visibilità nell’opporsi al potere – tutti prendono delle sorti di correnti ascensionali. Questo mi innervosiva quando ero giovane perché dietro c’è una forma di doping, ma una cosa che ho capito negli anni è che il nostro mondo è dopato. Vi faccio un esempio fastidiosissimo per me: recentemente ho avuto dei guai di salute molto seri e questo ha attirato su di me, com’è giusto che sia, molte simpatie e molto affetto. In questa cornice è uscito un mio libro e possiamo certamente pensare che abbia venduto di più per questa ragione casuale, questa ondata di simpatia: ecco una corrente ascensionale. Il mio mondo, il nostro mondo, funziona così e non bisogna farsi distrarre più di quel tanto da questo valzer di correnti ascensionali. Noi autori stiamo cercando di fare qualcosa di molto difficile e tutto quello che interferisce guasta il nostro rapporto con il cuore della faccenda».
E ammonisce: «Tutti balliamo in questa danza di correnti ascensionali, però c’è modo e modo, c’è una misura anche in questo. Da tutte le parti, in tutti quelli che entrano nell’orbita del potere, c’è una misura. Noi siamo persone che producono bellezza, che è armonia, misura, bilanciamento, non possiamo sacrificare più di tanto la sensibilità, il nostro valore dell’armonia. Voglio ricordare, anche a me stesso, che noi sappiamo cos’è la misura, l’armonia di un gesto di bellezza, la pulizia e l’eleganza, e non vogliamo dimenticarcelo».

«Quarto pensiero. Se parliamo di scrittore e poteri – perché non c’è solo il potere politico, c’è quello economico, quello culturale – i creativi sono sotto pressione, in un mare di correnti, ma è sempre stato così ed è giusto che lo sia. Uno dei lati più duri di questo mestiere è che bisogna riuscire a performare, a stare in bilico su un filo, tra correnti molto forti. Ma gli scrittori sono solo una parte di un villaggio più grande, il villaggio di quelli che studiano, degli artigiani che cercano di produrre bellezza, persone che producono piccole comunità, un pubblico, un palcoscenico, opere d’arte, mettiamoci tutto quello che chiamiamo cultura. Ciò che spiace è vedere negli anni immutata una cosa: il primo istinto del potere politico nei confronti di questo villaggio è  quello di controllarlo, indirizzarlo, segnarlo e gratificarlo della propria presenza. E non importa chi sia il potere politico del momento, non ho mai visto cambiare questo atteggiamento».

«Questo istinto a controllare, a orientare il villaggio non è né giusto né sbagliato, ma è certamente puerile, ingenuo e stolto. Visto dalla nostra parte, fa sorridere: per quello che ne ho capito io, nel nostro villaggio c’è così tanta forza mentale, così tanto talento, narcisismo, egolatria, determinazione, resistenza, rabbia e anche bellezza che qualsiasi tentativo di controllare tutto ciò è stupido. Non ce la farete mai.
Le strade che presidiate noi non le percorriamo. Voi controllate i ponti, noi siamo il fiume. Potete oscurare l’intera città, noi sappiamo vedere. Potete illuminare l’intera città così che nessuno scappi, noi saremo sottoterra. Potete conquistare le torri, le istituzioni, ma dietro c’è una moltitudine, c’è un intero villaggio che vi sta scappando. Non ce la potete fare, ve lo dico proprio sinceramente. Quanta energia sprecata, quando invece bisognerebbe difendere il villaggio da tutto ciò che arriva da fuori, perché abbia cibo, perché non si chiuda, perché sopravviva anche alle sue incapacità. Difenderlo e aiutarlo perché è un villaggio prezioso, non è un nemico da controllare. E l'obiettivo principale di qualsiasi politica culturale – cioè di una qualsiasi applicazione del potere a quel villaggio – dovrebbe essere quello di riuscire a scaricare a terra lo spettacolo di quel talento, di quel narcisismo, di quella pazzia perché non dev’essere il privilegio di una comunità ristretta, ma arrivare nel sistema sanguigno di tutti».

«Tanto non ci prenderete mai, nessuno ci prenderà mai, non importa da che parte stiate. Il nostro è un mondo fluido, non può che scapparvi. E sarebbe così bello che tanta forza, tante risorse, tanta intelligenza – anche del potere, perché non è per niente stupido – venissero regalate al villaggio perché rimanga importante per tutta la comunità dei viventi» conclude.

L'autore: Elisa Buletti

Laureata in Lettere all’Università degli Studi di Verona, ho conseguito il master Booktelling, comunicare e vendere contenuti editoriali dell’Università Cattolica di Milano che mi ha permesso di coniugare il mio interesse per i libri e l’intero settore editoriale con il mondo della comunicazione digital e social.

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