Questo articolo è una rielaborazione, in forma ridotta, di quello omonimo pubblicato sul Giornale della Libreria di maggio 2024. Se sei abbonata/o scarica qui la tua copia, oppure scopri come abbonarti.
Domandarsi com’era l’editoria italiana trentasei anni fa, quando l’Italia fu per prima Ospite d’Onore alla Fiera del libro di Francoforte, è come guardarsi attraverso un tunnel temporale. È ragionare sui tempi lunghi della nostra storia industriale: abbandonare l’appiattimento sul presente per guadare a come eravamo, a come siamo, al futuro che vorremmo imboccare.
Pochi sono i numeri (facilmente) reperibili di quell’epoca, il 1988 o giù di lì, utili a proporre una qualche forma di confronto articolato. L’infografica qui sotto, e la nota relativa, provano a raccogliere e a mettere ordine, scoprendo che in 36 anni il valore complessivo del mercato è cresciuto del +412% a valore corrente, del
+103% al netto dei processi inflattivi.


I dati di cui disponiamo ci parlano poi di una crescente centralità acquisita dal libro in questi decenni. Una centralità che oggi abita e si dispiega sulle diverse piattaforme di fruizione: pagine a stampa, e-book, audiolibri, banche dati. Nel 1988 i canali trade – librerie e banchi libri dei grandi magazzini – vendevano un po’ meno di 50 milioni di copie (Fonte: Demoskopea). Oggi sono 113 milioni (Fonte: Nielsen BookScan): valore certamente sottostimato perché dal calcolo sfuggono i punti vendita marginali e le vendite realizzate in occasione di saloni e festival (il Salone del libro di Torino nasce, anche lui, 36 anni fa; Festivaletteratura è di una decina d’anni più giovane: 1997). Senza contare e-book e audiolibri.
Nel 1988 Istat registrava 23.754 titoli di libri di varia adulti pubblicati. Nel 2023 ne troviamo 68.791: +190% (esclusi gli autopubblicati). Più che raddoppiano le case editrici attive. Gli editori, presenti nel Catalogo delle case editrici italiane dell’Editrice Bibliografica trentasei anni fa, erano 2.300: sono 5.184 nel 2023. Ma la crescita si esprime anche e soprattutto in un altro indicatore: nel 1988 i titoli pubblicati ogni mille lettori erano 1,3: nel 2023 diventano 2,2.
Guardando al contesto sovranazionale, se oggi siamo la sesta editoria mondiale e la quarta in Europa, nel 1988, in termini di titoli pubblicati – non c’erano indicatori migliori – veleggiavamo tra la decima e la dodicesima posizione.
I lettori, nel 1988, venivano stimati da Istat in 18,2 milioni: il 37% della popolazione. Nel 2023 l’Osservatorio AIE rilevava, tra i 14-75enni, 31,5 milioni di lettori di libri a stampa: il 68%. Salgono al 72% considerando i lettori esclusivi di e-book e gli ascoltatori di audiolibri. Sono percentuali che in filigrana mostrano una domanda e una articolazione della domanda di lettura ben più ampia di circa un quarantennio prima. Certo, anche una «qualità» diversa della lettura, che si esprime in tempi più brevi e frammentati, e meno frequenti nella settimana.
Erano gli anni, quelli della prima ospitata italiana con onori a Francoforte, nei quali cominciava a risolversi l’ambiguità del compromesso tra qualità letteraria e best seller: è di quel periodo la formula del «best seller all’italiana». Erano gli anni in cui ci s’interrogava sull’opportunità di riarticolare il mercato in opere di «qualità specificamente letteraria del testo» (Giovanni Raboni) e opere che nascono dalla professionalità di scrittori in grado di creare macchine narrative destinate all’intrattenimento: Congo di Michael Crichton (Garzanti 1985) viene proposto come modello in tal senso.
L’oggi è così fortissimamente incardinato nel futuro. Gli orizzonti lasciati alle spalle sono gli orizzonti che in parte continueremo a trovarci davanti. Almeno quelli che riusciamo a vedere. L’internazionalizzazione della nostra editoria che non potrà essere giocata solo sul fronte dei diritti, ma su qualcosa di industrialmente più solido e in proiezione verso mercati non più solo europei. La coltivazione di nuove dimensioni autoriali, coerenti non solo con le proiezioni internazionali (mercati di lingua inglese compresi), ma con i nuovi profili dell’ecosistema digitale d’intrattenimento, piattaforme di video streaming incluse. La dimensione del mercato domestico, che continua a essere troppo piccolo e insufficiente soprattutto se misurato solo in termini di quantità e non prestando attenzione alla qualità (tempo, frequenza) della lettura. La classe dimensionale delle imprese editoriali presenti, capaci ben più di quelle di trentasei anni di soddisfare le richieste del mercato internazionale di cui oggi siamo inequivocabilmente parte.
Mi sono sempre occupato di questo mondo. Di editori piccoli e grandi, di libri, di librerie, e di lettori. Spesso anche di quello che stava ai loro confini e a volte anche molto oltre. Di relazioni tra imprese come tra clienti: di chi dava valore a cosa. Di come i valori cambiavano in questi scambi. Perché e come si compra. Perché si entra proprio in quel negozio e si compra proprio quel libro. Del modo e dei luoghi del leggere. Se quello di oggi è ancora «leggere». Di come le liturgie cambiano rimanendo uguali, di come rimanendo uguali sono cambiate. Ormai ho raggiunto l'età per voltarmi indietro e vedere cosa è mutato. Cosa fare da grande non l'ho ancora perfettamente deciso. Diciamo che ho qualche idea. Viaggiare, anche se adesso è un po' complicato. Intanto continuo a dirigere l'Ufficio studi dell'Associazione editori pensando che il Giornale della libreria ne sia parte, perché credo sempre meno nei numeri e più alle storie che si possono raccontare dalle pagine di un periodico e nell'antropologia dei comportamenti che si possono osservare.
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