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Fiere e saloni

Le fiere che fanno crescere. Intervista a Federico Motta

di Giovanni Peresson notizia del 13 ottobre 2016

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Tra poco meno di 60 giorni – il 7 dicembre – si apre la quindicesima edizione di Più libri più liberi. Per quindici anni l’Associazione Italiana Editori attraverso Ediser ha organizzato, gestito, innovato quella che è l’unica fiera del libro dedicata alla piccola e media editoria in Europa. Un settore imprenditoriale che valeva nel 2015 il 31% dei canali trade secondo Nielsen, con un suo peso specifico in termini di valore culturale e di ricerca. Una fiera che da quindici anni e che Aie organizza partendo proprio da una domanda che proveniva dalle piccole imprese e dal pubblico. Era un’idea nuova di fiera: si svolgeva in una città in cui si iniziavano ad avvertire un fermento e una crescita culturale e imprenditoriale importanti; una città relativamente fuori dagli storici poli editoriali nazionali; in un mercato della lettura che poneva una domanda sulla qualità degli assortimenti; in un settore in cui gli stessi piccoli editori avvertivano la necessità di avere un momento tutto loro in cui confrontarsi su tematiche professionali. Ne abbiamo parlato con Federico Motta, Presidente dell'Aie, all’indomani della presentazione della nuova manifestazione milanese Tempo di libri. Fiera dell’editoria italiana che si svolgerà dal 19 al 23 aprile prossimi.

 
Fiera e Salone sono state due tra le parole più usate in questi mesi. Ed eccoci a parlare di un’altra fiera: quella della piccola e media editoria...

In questo anno sono successe molte cose di cui la più importante è la conferma che il rafforzamento del mercato continua. In questi mesi poi, si è letto, scritto, parlato molto di fiere e di saloni del libro. Molto, e troppo e solo in termini di contrapposizioni: grandi/piccoli, Torino/Milano, commerciale/culturale.  Molto meno, anzi nulla, del modo di pensare e fare fiere, saloni, manifestazioni sul libro nel XXI secolo. Per nulla a come pensare a fiere dopo che siamo usciti dalla più lunga e pesante crisi del nostro settore dal dopoguerra a oggi. Da cui siamo usciti cambiati: noi come il pubblico dei lettori. Non si è mai parlato della funzione imprenditoriale, culturale, innovativa di fiere e saloni. Luoghi, per loro natura, in cui convergono e si incontrano lettori, professioni diverse, ci si scambiano idee (e diritti), si pensano i libri nuovi e si mostrano quelli che si sono pubblicati. Siamo usciti da anni in cui abbiamo perso 230 milioni di euro nei soli canali trade, e in cui anche il pubblico dei lettori e dei professionisti è cambiato. Dobbiamo pensare a nuovi modi di fare fiere e manifestazioni. Perché sono vetrina «industriale», laboratori e incubatori di innovazione e di cambiamento; eventi che mettono al centro dell’attenzione mediatica il libro e la lettura. Questo è ciò che avevamo presente presentando meno di dieci giorni fa a Milano Tempo di libri. Fiera dell’editoria italiana. E di cui la quindicesima edizione di Più libri più liberi [Palazzo dei congressi all’Eur, dal 7 all’11 dicembre] è parte in un progetto con più ampio respiro.
 

Cosa pensa ci abbia insegnato la manifestazione di Roma?

Qualche giorno fa abbiamo annunciato la partenza di un progetto che ha l’ambizione di cambiare le dinamiche della promozione del libro e della lettura in Italia. E anche il modo in cui ci raccontiamo al pubblico di chi ci legge; raccontare la ricchezza industriale e di cultura creativa che ci pervade. A pensarci bene per quattordici anni di Più libri non abbiamo fatto altro che cercare di raccontare la ricchezza industriale e culturale della piccola e media editoria. In più, le esperienze di questi mesi ci hanno insegnato che bisogna sempre ragionare liberamente: siamo liberi imprenditori, siamo liberi editori, siamo liberi operatori culturali. Siamo liberi e vogliamo rimanere tali in un Paese che vogliamo rendere migliore. Abbiamo voluto questa responsabilità nella promozione del libro e della lettura nel nostro Paese, come l’avevamo voluta quattordici anni fa nel dare visibilità a una parte industriale che fa parte del settore che rappresentiamo: quello dei piccoli e medi editori.
 

Una rivendicazione di orgoglio imprenditoriale ma anche di responsabilità etica del fare impresa?

Abbiamo piena consapevolezza del peso di questa responsabilità, ma non siamo né spaventati né intimoriti. Siamo ambiziosi, è vero, ma non in modo arrogante come in questi ultimi mesi ci hanno voluto indicare, bensì consapevoli che il nostro ruolo nella società non è solo quello di imprenditori socialmente responsabili, ma, anche, di appartenenti a una delle istituzioni più importanti di questo Paese, perché siamo l’associazione degli editori italiani, di tutti gli editori italiani. E questo è un patrimonio non solo nostro, ma di tutti. Siamo anche e ovviamente aperti alla collaborazione. Sappiamo infatti che iniziative del genere hanno successo solo se sono aperte e inclusive. Più libri è stato da questo punto di vista un incubatore non solo per la piccola editoria, ma anche per noi e per i professionisti che con noi lavorano al progetto. Siamo abituati a lavorare in rete e lo facciamo a Roma e lo faremo a Milano. Con la necessaria apertura internazionale, che è uno dei terreni da noi preferiti. A Roma è il Fellowship realizzato assieme ad Agenzia ICE.

E proprio in materia di manifestazioni fieristiche e innovazioni va ricordata Aldus, la neonata rete europea di fiere del libro che Aie coordina, creata per ragionare assieme di innovazione nei modi di fare promozione del libro. Giacché anche nel fare fiere occorre studiare e sperimentare. In un Paese in cui un grande studioso della letteratura italiana come Carlo Dionisotti ha scritto una Geografia e storia della letteratura italiana [1967], diventa d’obbligo pensare a modelli fieristici policentrici: per promuovere libro e lettura, per favorire la partecipazione delle professionalità del settore (penso ai librai o ai bibliotecari, ma anche ai docenti, o alla piccola editoria locale). Tempo di Libri è un passo di un percorso già iniziato e che guarda al lungo periodo. Un passo fondamentale, cui attribuiamo la massima importanza, ma non il primo e ancor meno l’ultimo. Certo occorre ricercare quel difficile equilibrio tra ciò che permane della natura profonda del libro e dei nostri mestieri di autori, editori, librai o bibliotecari e ciò che invece cambia nelle forme e nei linguaggi per svolgere il medesimo ruolo culturale e industriale in un mondo profondamente modificato dal digitale. Tempo di libri perché il tempo scorre, non cancella il passato, né lo rinnega o disprezza. Ma non lo vive come un peso. Va oltre con naturalezza.
 

Più libri, dunque, come il precedente della Fiera dell’editoria italiana?

È la prima fiera in Europa dedicata alla piccola e media editoria indipendente, grazie all’idea di tre amici e colleghi 15 anni fa. Ma un altro precedente di Tempo di libri è #ioleggoperché, l’iniziativa nata lo scorso anno e interamente finanziata da Aie, con la quale quest’anno puntiamo a portare nelle scuole italiane centinaia di migliaia di libri e a far aprire nelle aziende italiane tante nuove biblioteche. O ancora LIA, il pluripremiato sistema per facilitare la lettura dei non vedenti, che da tre anni gli editori sostengono interamente con risorse proprie, dopo il finanziamento pubblico iniziale. Vorrei che fosse chiaro un concetto: rivendicare autonomia decisionale e responsabilità è anche un atto politico. Ma nient’affatto una scelta di chiusura. E soprattutto, quanto di più lontano dall’antipolitica, che si basa sempre sulla fuga dalle responsabilità. Fare Più libri a Roma ha significato aprirci alle università della città e del Lazio con cui abbiamo da anni un fitto calendario di iniziative. Lo stesso con Biblioteche di Roma.

Mi lasci però chiudere con una – pur minima – anticipazione. Abbiamo iniziato a lavorare sul prossimo passo del nostro progetto di promozione. Che riguarderà il Sud, dove la promozione della lettura è ancor più necessaria, a giudicare dai tassi di lettura. Dove ci sono grandi risorse ed entusiasmi e altrettante difficoltà. E dove sarà ancor più importante una mobilitazione generale e sarà vitale quello spirito di collaborazione con cui vogliamo qui ripartire. Queste sono le ragioni per cui abbiamo deciso con Fiera Milano – che ringrazio per aver sposato, senza condizioni, un progetto culturale e imprenditoriale molto ambizioso – di percorrere una strada forse in salita, ma che, come tutte le prove impegnative, darà ancora più soddisfazione. Il nostro impegno è veramente dedicato al Paese, ai lettori e, soprattutto, ai non lettori, perché solamente avvicinando più persone alla lettura possiamo sperare di crescere e svilupparci. Non è la crescita economica che fa aumentare gli indici di lettura; è esattamente il contrario. Ci piace pensare che il nostro contributo e il nostro impegno serva e servirà a rendere migliore l’Italia, e che attraverso la lettura cresca il senso civile e sociale, e con esso una generazione di giovani preparata ad affrontare con senso critico i problemi della nostra società.

L'autore: Giovanni Peresson

Mi sono sempre occupato di questo mondo. Di editori piccoli e grandi, di libri, di librerie, e di lettori. Spesso anche di quello che stava ai loro confini e a volte anche molto oltre. Di relazioni tra imprese come tra clienti: di chi dava valore a cosa. Di come i valori cambiavano in questi scambi. Perché e come si compra. Perché si entra proprio in quel negozio e si compra proprio quel libro. Del modo e dei luoghi del leggere. Se quello di oggi è ancora «leggere». Di come le liturgie cambiano rimanendo uguali, di come rimanendo uguali sono cambiate. Ormai ho raggiunto l'età per voltarmi indietro e vedere cosa è mutato. Cosa fare da grande non l'ho ancora perfettamente deciso. Diciamo che ho qualche idea. Viaggiare, anche se adesso è un po' complicato. Intanto continuo a dirigere l'Ufficio studi dell'Associazione editori pensando che il Giornale della libreria ne sia parte, perché credo sempre meno nei numeri e più alle storie che si possono raccontare dalle pagine di un periodico e nell'antropologia dei comportamenti che si possono osservare.

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