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Editori

Verso i 55 anni di «Linus». Una (bella) storia Italiana

di Federico Vergari notizia del 24 settembre 2019

Tra pochi mesi «Linus» taglierà il prestigioso traguardo dei 55. Cinquantacinque anni di presenza (salvo qualche brevissima parentesi) nelle edicole e nelle librerie d’Italia che lo hanno reso, di fatto, una delle più longeve riviste del nostro Paese. Il primo numero, diretto da Giovanni Gandini, uscì nell’aprile del 1965. In copertina su uno sfondo verde oliva c’era proprio lui. La «nocciolina» che dà nome alla rivista: Linus, che con uno sguardo titubante e il pollice in bocca guarda con circospezione i lettori italiani mentre abbraccia la sua coperta. In alto, poco sopra il nome della testata, una breve frase racconta quello che sarà il campo di azione del giornale: Rivista dei fumetti e dell'illustrazione. Questa frase cambierà diverse volte negli anni, adattandosi ai tempi e alle mutazioni dell’Italia.
 
Il direttore Gandini, nel primo editoriale descrisse così «Linus»: «Questa rivista è dedicata per intero ai fumetti. Fumetti s’intende di buona qualità, ma senza pregiudizi intellettualistici. Accanto alle storie e ai personaggi più moderni e significativi come i Peanuts, la rivista intende presentare fumetti di avventura, classici per l’infanzia, inediti di giovani autori. L’unico criterio di scelta di questa "letteratura grafica" è quello del valore delle singole opere, del divertimento che ne può trarre il lettore, oggi; non quello di un interesse puramente documentario o archeologico. I classici della storia del fumetto che pubblicheremo saranno solo quelli veramente originali e ancora validi oggi, verificati a una lettura il più possibile disinteressata, scevra di mitologie. Cercheremo poi di presentare al pubblico italiano quei fumetti che ancora non conosce, di rivelargli tempestivamente le nuove scoperte di tutto il mondo, di tenerlo informato su quanto avviene e si dice in questo campo».


Sempre nello stesso numero, a distanza di qualche pagina per ribadire la centralità del fumetto, trovava spazio un'intervista di Umberto Eco a Elio Vittorini e Oreste del Buono che ruotava tutta attorno a questa frase: «Una cosa che riteniamo molto importante e seria, anche se apparentemente frivola: i fumetti di Charlie Brown». Dunque: fumetti storici, se ancora significativi, e fumetti nuovi, da far conoscere ai lettori italiani. E poi inediti di giovani autori. Anche un certo Andrea Pazienza passerà per quelle pagine, qualche anno più tardi. Questo era «Linus».

Il primo numero raccoglie ovviamente le strisce dei Peanuts, precedute dalla presentazione dei principali personaggi. C’è poi il fumetto Braccio di Ferro con una storia del 1939. Il terzo fumetto è il grottesco e comico Li'l Abner di Al Capp. A chiudere il numero le strisce di Krazy Kat di Herriman e un’anticipazione del numero due. A maggio del ‘65 i lettori di «Linus» trovarono le nuove avventure dei fumetti già proposti e La curva di Lesmo dalla saga di Neutron di Crepax, in cui si affacciò per la prima volta il personaggio di Valentina. In quel primo numero manca ancora tanto, ma in realtà c’è già tutto. C’è lo spirito innovatore, la voglia di raccontare il nuovo e c’è il fumetto al centro di tutto (ci resterà per sempre). Mancano ancora le componenti giornalistiche e narrative, ma arriveranno negli anni.

La particolare caratteristica di «Linus» (e anche la sua principale capacità) è quella di riuscire a fondersi con la vita e con la memoria dei lettori. Di cosa si parlava su «Linus» nell’anno X? È una domanda frequente che molti lettori potrebbero farsi, per cercare di recuperare informazioni e fatti di una determinata epoca della loro vita. Per esempio per chi vi sta scrivendo è il 2001 l’anno della svolta linusiana. Leggevo la rivista già da qualche anno, approfittando di qualche copia saltuaria comprata da mia sorella, ma non ero un lettore assiduo. Poi da ottobre duemila, in coincidenza con l’inizio della mia carriera universitaria, è iniziato anche l’amore con «Linus». Quell’anno fu incredibilmente forte e ricco di eventi e tutti furono affrontati su quelle pagine. I fumetti di Get Fuzzy, Genova, New York e Afghanistan. Un’annata potente e destabilizzante per me, classe 1981. Poter filtrare quei fatti attraverso la lente di «Linus» fu un grande passo. Un privilegio per la mia crescita intellettuale. Il 2001 indirettamente sarà un bivio anche per Enzo Baldoni, giornalista, collaboratore di «Linus» e traduttore delle strisce di Doonesbury, la strip politica più longeva e potente del mondo. Enzo Baldoni morirà in Iraq nell’agosto 2004 e «Linus» lo ricorderà come uno di famiglia, perché quella di «Linus» alla fine questo è: una famiglia. Per raccontarla, abbiamo scambiato due chiacchiere con Pietro Galeotti, direttore di «Linus» dal 2016 al 2018.

Come nasce il suo rapporto con «Linus»?

Il mio rapporto nasce in epoca lontana. Io sono del ’64 e sono leggermente più anziano di «Linus». Ho iniziato, non so se proprio a leggerlo, ma quantomeno a sfogliarlo molto presto. «Linus» è una rivista che si conserva ed era quindi facile trovarlo in giro per le case di amici e parenti. Quei vecchi numeri degli anni Sessanta o dei primi Settanta rappresentavano un tesoro. Una lettura clamorosa: c’erano fumetti vecchi e nuovi, ma comunque iconici. Da Braccio di Ferro a Charlie Brown che leggevo anche senza capire tutte le battute, perché il suo mondo di riferimento era comunque fantastico. Per me, bambino di provincia e consumatore seriale di fumetti, era qualcosa di clamoroso. Ovviamente non potevo apprezzare la matrice «politica» o la contaminazione di alto e basso, la cultura pop. Io mi fermavo a un «livello uno», ma ero totalmente incantato dal predominio della grafica e dal formato.



Elementi, quelli della grafica e del formato, che torneranno nella sua direzione.

Esattamente, nei miei occhi di bambino «Linus» era perfetto, squadrato e graficamente ineccepibile. Così poi l’ho voluto riproporre.


Da lettore a direttore. Cosa è successo nella sua testa quando gliel’hanno proposto?

Ho avuto una carriera lunga. Scrivo per la tv da tanto, ho fatto molte cose, alcune belle e alcune brutte. Diciamo che se dovessi tirare un primo bilancio direi che ho fatto delle cose di cui vado fiero, pur trattandosi di tv [sorride]. Fatta questa premessa, la direzione di «Linus» e stata la cosa più impattante emotivamente e professionalmente per la mia carriera. Da una parte, diventando responsabile di qualcosa che avevo amato tantissimo, mi sono reso subito conto che avrei gestito e trattato il giornale con una devozione che arriva da lontano. E poi contemporaneamente ero consapevole di andare a dirigere una rivista leggendaria. Non mi viene in mente altro aggettivo. Prima di tutto per la longevità e poi per la qualità che – tra gli alti e bassi inevitabili in oltre mezzo secolo di storia – è sempre stata sopra la media. «Linus» aveva contribuito alla formazione di diverse generazioni di italiani ed era fantastico dirigerlo.


Come ha impostato la direzione?

Mantenendo un equilibrio tra tradizione e novità. Credo che il segno della mia direzione si sia visto nelle copertine. Ho voluto un ritorno all’archetipo di «Linus» con i personaggi di Schulz in copertina, ma reinterpretati da importanti illustratori e disegnatori. Con i piedi radicati nella tradizione e la testa proiettata al futuro.



Una cosa che mi ha sempre affascinato di «Linus» è la gestione dell’equilibrio tra fumetto, giornalismo e racconti.

Ho cercato di fare sì che fumetti e articoli facessero parte di un flusso unico e si parlassero senza prevaricarsi. Per quanto riguarda la parte scritta ho provato a riportare alcune firme che non c’erano più e altre che non c’erano mai state; sempre cercando di mantenere viva l’attenzione al sociale e al politico.


Per molti il Novecento è stato il secolo breve e del Duemila si parla come di quello velocissimo. «Linus», che il confine tra questi due secoli lo ha attraversato, ha avuto un ruolo nella narrazione del Paese?

Assolutamente sì. L’influenza di «Linus» è stata molto forte per tante generazioni di ragazzi e non solo. Durante la mia direzione i dati dicevano che il lettore di «Linus» era un lettore forte e di varia età. Non era quindi una rivista per ragazzi, ma per lettori consapevoli che si volevano formare un’opinione anche attraverso le pagine della rivista. Tra i Settanta e gli Ottanta è stato un giornale determinante nella partecipazione al dibattito. «Linus» ha attraversato gli anni di piombo, gli Ottanta spensierati, le due decadi berlusconiane ed è sempre rimasto il megafono degli umori del Paese rappresentando una voce che – con alterne fortune – è stata un punto di riferimento per molti.

L'autore: Federico Vergari

Giornalista. Scrive per il web, la carta stampata, parla in radio e collabora con il Tg di una televisione locale romana. Si occupa prevalentemente di cultura, cronaca, sport e nuove tecnologie. Per Tempo di libri cura i contenuti del Bar Sport, un luogo dove si raccontano storie e l'editoria si fonde con la narrazione sportiva.

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