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Editori

Twittare un libro: solo romanzi? Nein!

di Camilla Pelizzoli notizia del 25 settembre 2015

Che Twitter sia ormai parte integrante della scena letteraria (anche solo per l’alta presenza di scrittori, critici e lettori sul social) è innegabile: lo si ama, lo si odia – Franzen docet – ma non lo si può ignorare. Soprattutto perché, negli ultimi anni, è diventato anche un contenitore di esperimenti narrativi tra i più interessanti, che permette agli scrittori di sfruttare un nuovo mezzo per cimentarsi con forme, modi, generi lontani da quelli di riferimento: col solo limite dei 140 caratteri, gli autori danno così vita a creazioni che possono fornire nuove possibili prospettive al panorama editoriale.
Anche se non sempre questi tentativi risultano riusciti: viene alla mente il precursore più noto, Black box di Jennifer Egan (reso disponibile poi in Italia da minimum fax come Scatola nera), scritto nel 2012 e pubblicato spezzettandolo in tweet, rimanendo forse troppo ancorato al concetto di storytelling tradizionale. Intanto, però, il sasso era stato lanciato (la Egan, avendo già vinto il Pulitzer, era ed è un nome di grande richiamo) e molti altri autori hanno deciso di intraprendere la strada della brevitas. Tra i primi, Teju Cole e Philip Pullman, che nel 2013 hanno pubblicato rispettivamente Sette brevi storie sui droni e la favola di Jeffrey la mosca, entrambe diligentemente raccolte attraverso Storify per essere fruite anche una volta passati i tweet.
Gli ultimi ad essersi cimentati in questo nuova forma sono stati Margaret Atwood che ha fatto da ospite d’onore all’edizione di quest’anno del #TwitterFiction festival e David Mitchell, che in questi giorni sta promuovendo il suo ultimo romanzo (Slade House), tra l’altro nato proprio come storia breve su Twitter, lasciando che sia il suo protagonista, con un profilo creato appositamente e gestito dall’autore, a incuriosire i potenziali lettori.

Non sfuggirà, tuttavia, che fino ad ora si è parlato solo di narrativa: la non-fiction sembrava esclusa da questa Twitter fever. Almeno fino a quando qualcuno non ha deciso di dire no… anzi, Nein. Eric Jarosinski, in passato professore di cultura tedesca all’università della Pennsylvania, ha deciso di rifiutare le costrizioni in cui sentiva di vivere durante il periodo accademico e di dedicarsi alla filosofia in maniera più vivace, ironica e fluida: in particolare, ridando vita al genere aforistico attraverso il mezzo che al momento gli è più congeniale, ovvero Twitter, che per la sua brevità non può che esserne la sede quasi naturale. I suoi 118 mila follower sono la prova che l’esperimento non è solo riuscito, ma – soprattutto tenendo conto degli argomenti trattati – è un vero e proprio successo. Ora il libro che raccoglie i suoi pensieri più riusciti è stato pubblicato in America e prontamente tradotto (con testo a fronte) da Luca Mastrantonio per Marsilio; abbiamo chiesto a Francesca Varotto, editor a capo della narrativa straniera per la casa editrice, di parlarci di Nein, di twitteratura e della nuova vita della scrittura on line.

Cosa ha spinto Marsilio ad acquisire i diritti di Nein e a procedere a una pubblicazione così tempestiva?
La casa editrice ha accolto la proposta con entusiasmo – più di quanto osassi sperare –, siamo tutti rimasti elettrizzati dalla lettura degli aforismi in formato tweet di Jarosinski. Pubblicare un libro che nasce su Twitter è una scommessa, ma è il momento giusto: i lettori sono aperti ad accogliere la letteratura declinata nelle forme più diverse che anche la rete e i social media rendono possibili. Probabilmente anche Karl Kraus, se fosse vissuto oggi, avrebbe usato Twitter.

L'idea di Jarosinski è fantasiosa e intelligente, la dimostrazione che la semplificazione del testo prevista dalla comunicazione digitale non sempre è sinonimo di impoverimento, se usata con talento può diventare arte, rivelandosi molto efficace: concentrare in 140 caratteri i molteplici messaggi contenuti in Nein con tutti i riferimenti sottesi è un'operazione molto ingegnosa.

Ultimamente la “twitteratura” sta prendendo molto piede (vengono alla mente i già citati Jennifer Egan, David Mitchell, Philip Pullman): tutti, però, si sono concentrati sulla narrativa, mentre Nein è il primo esempio di raccolta aforistica che riesce a superare il web e a sbarcare su carta. Qual è stata la sua forza? Pensa sia un fenomeno replicabile?

@NeinQuarterly è un fenomeno internazionale, Eric Jarosinski è seguito non solo in rete ma anche da migliaia di affezionati lettori che lo trovano nelle rubriche settimanali di giornali come la «Zeit», il «New Yorker» o «NRC». I suoi testi offrono vari livelli di lettura, sono ironici, taglienti, necessariamente concisi e quindi diretti. Pur nel pessimismo del messaggio, Nein fa assolutamente sbellicare dalle risate. Come dice Jarosinski, fa piacere vedere le proprie paure e disagi verso il mondo condivisi da altri. Nein è un invito a pensare, sorridendo del male (o del nulla), accessibile a tutti.
La forma è sicuramente replicabile, lo stesso Luca Mastrantonio mentre traduceva ha dato vita a una serie di ingegnosi tweet legati alla realtà italiana sulla falsa riga di quelli di Jarosinski. Ma replicare il fenomeno semplice non è.

L'account Twitter di Marsilio potrebbe essere utilizzato anche in funzione di scouting, permettendo di cogliere un talento pronto per la pubblicazione?
È un ottimo suggerimento. Basta vedere il successo di Anna Todd con una serie nata capitolo dopo capitolo su uno smartphone. È difficile ma possibile che anche i 140 caratteri di Twitter raccolgano la promessa di una bella sorpresa editoriale.

L'autore: Camilla Pelizzoli

Laureata in Lettere moderne (con indirizzo critico-editoriale), ho frequentato il Master in editoria. Mi interessa la «vita segreta» che precede la pubblicazione di un libro – di carta o digitale – e mi incuriosiscono le nuove forme di narrazione, le dinamiche delle nicchie editoriali e il mondo dei blog (in particolare quelli letterari).

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