Dal 10° Rapporto Censis/Ucsi sulla comunicazione emerge che il mondo dei lettori di periodici, riviste e quotidiani è in profonda e rapida trasformazione.
I lettori di quotidiani acquistati in edicola (-2,3% tra il 2011 e il 2012), che erano il 67% degli italiani cinque anni fa, sono diventati oggi solo il 45,5%. Al contrario, i quotidiani on line contano il 2,1% di lettori in più rispetto allo scorso anno, arrivando a un’utenza del 20,3%. Perdono lettori anche la free press, che si attesta al 25,7% di utenza (-11,8%) e i settimanali (-1%). E proprio tra i giovani la disaffezione per la carta stampata è più grave: tra il 2011 e il 2012 i lettori di quotidiani di 14-29 anni sono diminuiti dal 35% al 33,6%.
Abbiamo chiesto ai direttori di alcune note riviste di darci il loro parere e abbiamo raccolto le loro testimonianze in un articolo che pubblicheremo sul numero di aprile del «Giornale della Libreria».
In esclusiva per i nostri lettori anticipiamo parte dell’intervento del direttore di «Internazionale», Giovanni De Mauro.
Alla luce di questi dati qual è secondo lei il futuro del giornalismo?
È sempre difficile stabilire relazioni di causa ed effetto tra fenomeni così complessi. Sicuramente Internet, entro certi limiti, sottrae pubblico ai giornali cartacei, il che si traduce da un lato in una diminuzione delle copie vendute in edicola mentre dall’altro, poiché l’informazione in rete è per lo più libera e gratuita, questa perdita non è compensata da un ritorno economico in digitale.
Credo comunque che il processo di transizione al digitale sia una tendenza irreversibile e quindi necessariamente i mezzi di comunicazione tradizionali dovranno trovare il modo di sopravvivere nel nuovo sistema per non scomparire, dovranno seguire alle nuove coordinate imposte dall’innovazione. È un processo inevitabile è vero, ma sono convinto che giornali e riviste, così come i libri, abbiano la capacità di adattarsi. E poi non è detto che il cambiamento debba tradursi per forza soltanto in negativo. A questo proposito vorrei citare una frase del direttore del «Guardian» di Londra, Alan Rusbridger: «Oggi i giornali sono in crisi, ma il giornalismo non è mai stato meglio». I giornalisti oggi hanno la possibilità di rivolgersi ad un pubblico di dimensioni numericamente inimmaginabili rispetto a quello che si poteva sperare solo pochi anni fa e questo grazie a Internet e ai nuovi media. Dunque adesso la questione cruciale è capire con quali modalità il giornalismo potrà adattarsi al XXI secolo. L’innovazione non va subita anche perché è un processo comune a tutte le industrie, non solo a quella dei contenuti.
Internet consente a tutti un accesso in tempo reale alle informazioni. Come riesce a sopravvivere in questo contesto il concetto di rivista periodica?
A mio avviso il problema riguarda soprattutto i quotidiani che sono schiacciati dall’accelerazione dei meccanismi del ciclo delle informazioni, accelerazione dovuta a Internet, ai blog, a Twitter. Le riviste e periodici che puntano sull’approfondimento, invece, hanno ancora i margini per resistere anche perché il Web non è un mezzo che si presta all’approfondimento. Sullo schermo del computer difficilmente si legge un articolo lungo, mentre la carta si presta benissimo a ospitare tale tipologia di scrittura.
Certo, esistono i tablet e gli e-readers per leggere i libri, ma le riviste restano diverse: sono fatte di testo ma anche di immagini (statiche, a colori, a doppia pagina, in bianco e nero). Il formato rivista è una confezione che ancora non è stata sostituita o eguagliata nella sua perfezione dalle nuove tecnologie. Non dubito che il palliativo elettronico sarà messo a punto presto e certamente arriverà anche per noi, ma abbiamo ancora un po’ di tempo per prepararci ad affrontarlo.