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Editori

Nella «high concept fiction» l’idea conta tutto (o quasi)

di Alessandra Rotondo notizia del 23 maggio 2025

Cosa succederebbe se, in un romanzo, la scelta del nome da dare a un figlio aprisse linee temporali e narrative diverse e parallele? O se, in un altro, i rifugiati che cercano salvezza in una terra straniera provenissero non tanto da altri Paesi, ma da altre epoche storiche? E ancora: cosa accadrebbe se il protagonista fosse bloccato in un loop di rinascite, nel tentativo – programmaticamente fallito – di evitare la propria morte?
Benvenute e benvenuti nel mondo della high concept fiction, la narrativa «d’alto concetto» o «ad alto impatto». Dopo il new horror e la weird girl fiction, ecco un altro genere che più che un genere è un’idea: forte, riconoscibile, sintetizzabile in una sola frase. Un’onda narrativa che parte da un what if, un «e se...» più o meno disparato, e costruisce da lì universi complessi, immaginifici, emozionalmente densi.


Che cos’è la high concept fiction?
Con «high concept» si intende un’idea narrativa talmente chiara e potente da poter essere spiegata in un elevator pitch, ovvero in poche parole: il tempo di una corsa in ascensore. Il concetto nasce a Hollywood, dove viene usato per descrivere film facili da vendere e promuovereJurassic Park, per esempio, è un film su «un parco a tema con dinosauri clonati che si ribellano»; Inception parla di «una squadra di ladri che ruba segreti dai sogni».
Nella narrativa, l’high concept fiction prende quella stessa logica e la declina in libri capaci di unire immediatezza e profondità, inventiva e struttura. Non è una questione di genere (può essere sci-fi, romance, distopia, romanzo di formazione…), ma di premessa.



I titoli che stanno scrivendo le regole della high concept fiction

Uno degli esempi più recenti è The Names, romanzo d’esordio di Florence Knapp, che racconta la vita di un bambino a partire dalla scelta del suo nome, e la sviluppa lungo tre possibilità alternative, attivata ciascuna dalla selezione – per l’appunto – di un nome diverso. Un’idea semplice, ma carica di potenziale narrativo, che ha scatenato una guerra tra editori alla Fiera internazionale del libro di Francoforte: il libro è uscito da poco sul mercato anglofono – per Penguin Random House in Usa e Canada, per Phoenix in Uk – e sarà presto pubblicato in 20 lingue in giro per il mondo.
C’è poi The Ministry of Time di Kaliane Bradley – editor e autrice britannica di origini cambogiane, qui alla prima prova con un romanzo – pubblicato in Italia da Mondadori con il titolo Il Ministero del Tempo. Nella Londra di un futuro prossimo, una funzionaria pubblica viene coinvolta in un misterioso progetto governativo che raccoglie «espatriati» da epoche diverse, ricollocandoli nella contemporaneità con lo scopo, in realtà, di testare gli effetti dei viaggi nel tempo sugli umani. Il compito della funzionaria è quello di fare da «ponte», ovvero agevolare l’adattamento del soggetto che le viene affidato, noto come 1847: si tratta di Graham Gore, un ufficiale di Marina che nel 1847 partecipò alla famosa – e sfortunata – spedizione artica guidata da sir John Franklin. Ora chiamato a confrontarsi con oggetti e concetti misteriosi come «lavatrice», «Spotify» e «crollo dell’Impero Britannico».
Accolto con grande entusiasmo da critica e pubblico, The Ministry of Time unisce l’attualità del tema migratorio a un tocco fantastico che ricorda il miglior David Mitchell. E proprio Mitchell, d’altronde, è uno dei maestri della high concept fiction, con il suo Cloud Atlas (2004), pubblicato in Italia prima da Sperling & Kupfer, poi da Mondadori tra gli Oscar. La struttura-matrioska del romanzo attraversa secoli e stili per raccontare l’eterno ritorno delle stesse domande morali in capo a personaggi diversi, eppure profondamente connessi tra loro.


Il tempo come fattore ad alto impatto. Ma non solo
Forzare la linearità del tempo come innesco della narrazione è molto efficace nella fiction ad altro impatto. Lo fa Audrey Niffenegger in The Time Traveler's Wife (in italiano La moglie dell'uomo che viaggiava nel tempo, pubblicato da Mondadori nel 2005), che racconta la storia d’amore tra Clare Abshire e Henry DeTamble, un bibliotecario affetto da una condizione genetica immaginaria chiamata disordine genetico cronodislocante, che lo fa viaggiare nel tempo in modo imprevedibile.
Lo fa anche Kate Atkinson in Life After Life – pubblicato in Italia da Nord, GeMS, con il titolo Vita dopo vita – in cui la protagonista vive e rivive la propria esistenza, con esiti in parte diversi e una coscienza liminale del pregresso, in un gioco letterario che fonde con la grande storia i piani temporali alternativi di un’esistenza che tenta, ricorsivamente quanto inefficacemente, di scampare alla morte.
Ma il what if alla base dell’high concept fiction non è necessariamente a traino temporale. Basti pensare, ad esempio, a The Power di Naomi Alderman – Ragazze elettriche nell’edizione Nottetempo del 2017 e nella riedizione Feltrinelli del 2025 nella collana Le Stelle – che immagina un mondo in cui le donne sviluppano, con la pubertà, un potere elettrico capace di rovesciare i rapporti di forza con gli uomini.


Perché proprio adesso?
Ci sono, come sempre, spiegazioni commerciali e culturali dietro l’emersione di un filone narrativo: il Guardian ne suggerisce alcune. L’ipotesi più cinica è che un libro ad «alto concetto» sia molto più facile da promuovere, sia a monte che a valle: ha una premessa forte che «buca» nei meeting con il marketing e ancor prima con l’editore, e poi sui social, nelle recensioni, nel passaparola quotidiano. È perfetto ad esempio per TikTok, dove un’idea memorabile può generare entusiasmo anche in assenza di un nome famoso.
Ma c’è anche una spiegazione più interessante tra quelle avanzate dalla testata britannica. Dopo anni in cui la narrativa di genere, segnatamente fantastica, è stata spesso guardata dall’alto in basso, oggi è pronta a interessare fasce più ampie di pubblico, anche oltre gli argini ben stereotipati del «target di riferimento». Jenny Colgan, autrice best seller, lo dice chiaramente: «La fantascienza è solo un linguaggio per raccontare storie d’amore, di perdita, di crescita, di desiderio. Se lo fai bene, puoi superare qualsiasi barriera di genere».
C’è fame di mondi nuovi insomma, di idee forti, di storie che non siano solo autoriflessive o iperrealiste, ma capaci di esplorare il reale attraverso l’invenzione. Come spiega Bradley stessa, «un’idea forte può essere solo un inizio, un pretesto per entrare in qualcosa di più complesso». Il trucco sta nel maneggiarla bene, con stile e profondità, senza che il «concetto» fagociti ed esaurisca tutto il resto.

Tra letterario e popolare, senza fratture
Il successo della high concept fiction è anche un segnale culturale
: la frattura tra narrativa «di genere» e narrativa «alta» si va infatti ricomponendo. Scrivere libri brillanti, immaginifici, profondi, ma anche accattivanti e di grande impatto commerciale – se mai lo è stato – non è più un ossimoro. E l’idea che un libro debba scegliere se essere popolare o letterario sembra, per fortuna, superata.
D’altronde, ritornando specificamente ai meccanismi d’innesco della narrativa «ad alto impatto», non sono forse le nostre stesse vite a indugiare e a dipanarsi lungo la sequela dei what if? Ancora una volta, la letteratura non fa altro che venirci incontro e raccontarci chi siamo e chi potremmo essere.  

L'autore: Alessandra Rotondo

Dal 2010 mi occupo della creazione di contenuti digitali, dal 2015 lo faccio in AIE dove oggi sono responsabile del contenuto editoriale del Giornale della Libreria, testata web e periodico in carta. Laureata in Relazioni internazionali e specializzata in Comunicazione pubblica alla Luiss Guido Carli di Roma, ho conseguito il master in Editoria di Unimi, AIE e Fondazione Mondadori. Molti dei miei interessi coincidono con i miei ambiti di ricerca e di lavoro: editoria, libri, podcast, narrazioni su più piattaforme e cultura digitale. La mia cosa preferita è il mare.

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