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Editori

Meglio Shakespeare della psicanalisi

di E. Vergine notizia del 6 febbraio 2013

«Il sapere rende liberi», diceva Socrate. Liberi dal giogo dell’ignoranza, ma liberi anche dalle ansie, dalle paure, dalle ricette dei manuali di self-help.
La cura a tutti questi mali sembra essere la grande letteratura. Questo almeno avrebbe dimostrato una ricerca inglese, ripresa dal «Daily Mail Reporter», i cui risultati proverebbero che la lettura dei grandi classici stimola l’attività cerebrale i cui effetti sarebbero pari a quelli di una buona terapia psicanalitica. La scoperta – dell’acqua calda, direbbe chi alla letteratura ha dedicato vita e lavoro – dimostra inoltre che le riedizioni modernizzate non produrrebbero sul nostro cervello lo stesso effetto del testo originale, con i suoi arcaismi e le sue difficoltà interpretative.
I ricercatori inglesi hanno scandagliato il cervello di una trentina di volontari per capire quali aree della loro corteccia si mettevano in moto durante la lettura di grandi opere della letteratura anglosassone come il Re Lear di Shakespeare o i poemi di Wordsworth, Donne o Eliot. Le risonanze hanno evidenziato le risposte cerebrali a ogni singola parola del testo confermando quello che molti lettori accaniti in fondo già sanno: di fronte a passaggi difficili, inusuali, a parole nuove o usate in un contesto insolito, l’attività cerebrale aumenta così come cresce il livello d’attenzione – reazioni ben più modeste provocavano invece gli stessi testi epurati da arcaismi o semplificati e riediti in chiave moderna – inoltre, reazioni ancora più complesse si attivano durante la lettura di una poesia.
In maniera più intensa della prosa infatti la poesia attiva non solo la parte sinistra del nostro cervello, quella collegata al linguaggio, ma anche l’emisfero destro, deputato alla memoria autobiografica e alle emozioni. Questo perché, quando leggiamo una poesia, tendiamo ad attuare dei meccanismi che ci aiutino, per comprenderla meglio, a rapportare quelle parole alla nostra esperienza, anche emozionale, innescando un gioco «rimemorazione» non così diverso da quello stimolato dalle terapie psicanalitiche.

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