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Editori

Le 150 candeline dell'Associazione Italiana Editori

di Giovanni Peresson notizia del 11 febbraio 2019

L’Associazione Italiana Editori quest’anno compie 150 anni. Se è vero che fu costituita nel 1869, in realtà i suoi elementi costitutivi erano già nell’aria da prima, legati al ruolo che gli editori hanno avuto nel processo di unificazione nazionale e di eliminazione dei dazi sul commercio e la libera circolazione dei libri e delle idee nel nuovo mercato nazionale che si andava costituendo. «Le condizioni in cui versa il commercio librario in Italia, la difficoltà che ogni giorno si incontra nella ricerca di quanto si stampa nelle varie provincie del regno, ed il desiderio di rendere pubblica ragione il movimento intellettuale italiano» sono i due catalizzatori che due anni prima, nel 1867, portano alla pubblicazione della «Bibliografia d’Italia»: «Sentendosi vivamente nel nostro Paese la necessità di una pubblicazione che servisse a far fronte facilmente a librai, bibliotecari, studiosi, le varie e numerose pubblicazioni che man mano venivano in luce […] venne iniziata la pubblicazione di una Bibliografica d’Italia» che comunicasse gli elementi bibliografici indispensabili alla loro attività.

È da questa esigenza di carattere prettamente commerciale e informativo su quanto i «volonterosi librai-editori» (e tipografi) – e non sfugga questa natura ibrida, molto diversa da quella dell’editore moderno del XX secolo – che inizia a emergere e a prender corpo rapidamente l’idea di un’associazione rappresentativa delle categorie che componevano la filiera produttivo-distributiva di allora. 

Siamo nell’anno successivo alla Terza guerra d’indipendenza, tre anni prima della breccia di Porta Pia. Il processo unitario è ancora in atto e, se si sta concludendo militarmente, resta ancora tutto da fare sul piano sociale, industriale e delle infrastrutture.




Nel quadro più generale di trasformazione del Paese, si sentiva l’esigenza di un ammodernamento del  settore che fosse analogo a quello già avvenuto in altre nazioni europee, non a caso spesso richiamate  come esempi nei vari scritti dell’epoca. A partire  dalla necessità di dotarsi innanzitutto di quella che chiameremmo oggi una banca dati bibliografica, di un sistema postale di informazione sull’uscita delle novità, a cui poter accedere alle migliori condizioni  possibili. Ma come punto di partenza di questo ammodernamento del settore c’era soprattutto la ricerca  di una maggiore efficacia della filiera distributiva, tanto per il libro scolastico che di varia. 

Il «crescente successo» e le «grandi simpatie» dell’opera  portarono così, nel settembre 1869 a Torino, al  primo Congresso librario italiano, con una Esposizione tipografica libraria in cui Casimiro Bocca, «libraio- editore torinese», fece formale proposta «di costituire una vera e propria associazione per iscopo di migliorare materialmente e moralmente le condizioni del commercio libraio e di sviluppare reciproche relazioni d’affari fra i membri (editori, librai, tipografi) del progettato sodalizio» che comprendeva allora 86 soci, e per «sede del sodalizio venne eletta Firenze ». Associazione che venne costituita il 17 ottobre dello stesso anno a Milano, sotto la presidenza del torinese Giuseppe Pomba.

Se queste sono le prime vicende di una storia lunga 150 anni, va detto che non abbiamo degli archivi di quegli anni, e sostanzialmente nulla fino a tutti gli anni Cinquanta del secolo scorso. La ricostruzione delle vicende può essere condotta pressoché solo attingendo a una memorialistica celebrativa dei vari anniversari o ai numeri del «Giornale della libreria», che nasce nel 1888 come «Giornale della libreria, della tipografia e delle arti e industrie affini» (nome che terrà fino al 1921). Mancano, invece, le documentazioni originarie: verbali delle riunioni e circolari.




Un aspetto va rimarcato. Pensare a una storia dell’Associazione significa comunque guardare, leggere, interpretare le vicende di allora attraverso gli occhi del presente, dei percorsi prossimi che la attendono e che attendono la filiera in un contesto di mercato, nazionale e internazionale, incommensurabilmente diverso. La sua storia, se è attraversata da inevitabili microstorie, rivela sul lungo periodo una sua compattezza di obiettivi, di sentieri tracciati e percorsi. Sentieri che stiamo percorrendo ancora oggi ma la cui origine affonda negli anni centrali del processo unitario del Paese: la lotta all’analfabetismo, la scuola obbligatoria, il contrasto alla pirateria, l’ammodernamento dei processi industriali di stampa, la distribuzione, l’internazionalizzazione, le fiere italiane e internazionali.

Già nel 1871, nel congresso di Napoli, «venne accolta la proposta che il sodalizio, oltre che di cose librarie, avesse altresì ad occuparsi degli interessi della tipografia e industrie affini» tanto che assunse «il nuovo titolo» di Associazione tipografico-libraria italiana (Atli). Con maggiore lucidità è un aspetto rimarcato con decisione nel gennaio 1888 nell’editoriale anonimo – ma probabilmente di mano di Emilio Treves – del primo numero del «Giornale della libreria»: «Pubblicando oggi il primo numero del Giornale della libreria crediamo di indicarne brevemente i propositi. Questo giornale, pubblicato in Milano [dove nel frattempo l’Associazione si era trasferita] è un giornale professionale che si rivolge a tutti quelli che esercitano professioni librarie o tipografiche, dal grande fabbricante di carta, fino all’ultimo spacciatore di libri stampati. Con nome generico di Libreria intendiamo tutto ciò che ha relazione col libro, che vive del libro, che ama il libro. Vi sono comprese tutte le professioni, tutte le industrie, tutte le arti, che contribuiscono alla produzione, allo spaccio della carta stampata. Non solo gli editori e i librai, non solo i tipografi e i litografi, ma anche i fabbricanti di carta, d’inchiostro, di vernici, i costruttori di torchi e di macchine, i negozianti di musica, di stampe, di fotografie, i fonditori di caratteri, gli incisori in legno e in rame, i legatori, gli antiquari, i rivenditori, gli agenti d’annunzi, ecc., si sentiranno interessati materialmente a un Giornale della libreria, dovranno consultarlo giornalmente, riconosceranno poco a poco il bisogno di servirsene, quali per offrire i prodotti [una parte conteneva la scheda bibliografica delle novità in uscita per approvvigionarsene] e l’opera loro, quali per fare una scelta».




Parallelamente ai processi unitari, di avvio della trasformazione di un’economia esclusivamente agricola a una, via via, progressivamente industriale, di riduzione dei ritardi rispetto alle economie di Francia, Regno Unito, Germania, si delineava la necessità di aver ben chiaro quello che, sia pure in situazioni completamente mutate, era l’ecosistema entro cui l’attività editoriale doveva inevitabilmente muoversi per migliorare la sua efficienza ed efficacia. In questo aspetto, che oggi definiremo di «ecosistema», possiamo leggere anche quelle che sono le problematiche degli attori odierni, anche se in contesti completamente mutati.

Alcuni temi significativi emergono fin dai primi decenni di vita dell’Associazione. Innanzitutto la formazione professionale, virata principalmente sulle tecniche tipografiche. Il quadro di allora è quello di un mercato nazionale che deve fare i conti con indici di analfabetismo e di abbandono scolastico che toccano nell’anno dell’Unità il 78% (con punte del 91% in Sardegna, del 90% in Calabria e Sicilia, bilanciata dai valori del 57% in Piemonte e del 60% in Lombardia; quando nello stesso periodo, intorno al 1850, le percentuali in Europa si attestavano attorno al 10%). A fianco del non rispetto dell’obbligo scolastico, c’erano i problemi relativi ai «libri di testo per elementari»: la lotta alla pirateria scolastica fatta sovente di libri inadatti «pieni di strafalcioni su cui devono studiare i giovani fanciulli alla mercé di insegnanti con pochi scrupoli nel scegliere i libri solo in base al prezzo o allo sconto praticato da editori e librai senza scrupoli».

Tra gli altri temi, la proiezione verso l’estero. Non solo perché la «Bibliografia» «oltre a dare [notizia] delle pubblicazioni italiane, portava a conoscenza dei librai d’Italia le principali pubblicazioni straniere » (1868), ma perché a partire dal 1878 vediamo l’Associazione «incitare gli [editori] italiani a mostrare nell’esposizione parigina […] i progressi fatti dal nostro Paese nel campo delle arti del libro». Una delle prime di un lungo elenco di partecipazioni espositive in Italia e all’estero, in Europa, in Sud America e negli Stati Uniti.

E fin da subito (1877) l’organizzazione a Milano di un Congresso per la proprietà letteraria e artistica che diventa uno dei fili conduttori delle iniziative dell’Atli in Italia, tra cui la partecipazione a innumerevoli congressi internazionali. Non è certo questo lo spazio per una storia completa dell’Associazione, nelle cui vicende non mancano anche pagine poco luminose come «l’azione di epurazione per motivi razziali di autori ebrei (soprattutto nel settore scolastico; si veda Giorgio Fabre, L’elenco. Censura fascista, editoria e autori ebrei, Torino, Zamorani, 1998) e vere e proprie liste di proscrizione di libri e autori» in cui «il libro […] percorse una via crucis disseminata di stazioni sempre più difficili e spiacevoli; dal controllo palese e larvato delle pubblicazioni politiche al libro di stato per la scuola elementare» negli anni del regime fascista.

Affermare l’AIE come casa di tutti gli editori italiani non è solo una formula. Anzi l’Associazione in questi anni – ricollegandosi, più o meno consapevolmente, al suo mito di fondazione – si delinea come l’ecosistema di riferimento dei vari anelli della filiera produttiva e distributiva, sia della carta che del digitale.

 

[Fonti dell’articolo: «Annuario della libreria e tipografia e delle arti affini in Italia», Associazione tipografico-libraria italiana, Milano, 1884, 1894; Ottanta anni di vita associativa degli editori italiani (1869- 1949), Milano, AIE, 1950; «Giornale della libreria, della tipografia e delle arti e industrie affini», Associazione tipografico-libraria italiana, Milano, 1888-1921; «Giornale della libreria», AIE, 1922-oggi.]

L'autore: Giovanni Peresson

Mi sono sempre occupato di questo mondo. Di editori piccoli e grandi, di libri, di librerie, e di lettori. Spesso anche di quello che stava ai loro confini e a volte anche molto oltre. Di relazioni tra imprese come tra clienti: di chi dava valore a cosa. Di come i valori cambiavano in questi scambi. Perché e come si compra. Perché si entra proprio in quel negozio e si compra proprio quel libro. Del modo e dei luoghi del leggere. Se quello di oggi è ancora «leggere». Di come le liturgie cambiano rimanendo uguali, di come rimanendo uguali sono cambiate. Ormai ho raggiunto l'età per voltarmi indietro e vedere cosa è mutato. Cosa fare da grande non l'ho ancora perfettamente deciso. Diciamo che ho qualche idea. Viaggiare, anche se adesso è un po' complicato. Intanto continuo a dirigere l'Ufficio studi dell'Associazione editori pensando che il Giornale della libreria ne sia parte, perché credo sempre meno nei numeri e più alle storie che si possono raccontare dalle pagine di un periodico e nell'antropologia dei comportamenti che si possono osservare.

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