
Fine anno, tempo di bilanci: mentre gli editori hanno già da tempo preparato i libri con cui hanno deciso di affrontare il periodo natalizio e ora attendono fiduciosi i risultati di vendita, i lettori e i critici possono dedicarsi (oltre alle compere natalizie, ovviamente) alle
classifiche dedicate ai libri pubblicati durante l’ultimo anno. Tra le più celebri c’è quella del «New York Times Book Review», che ogni anno elegge i
100 «Most Notable Books of the Year»: e nell’edizione di quest’anno ci sono due titoli, in particolare, che richiameranno l’attenzione del pubblico italiano. Si tratta dell’ultimo volume della tetralogia di Elena Ferrante,
Storia della bambina perduta,
The Story of the Lost Child nella traduzione di Ann Goldstein per Europa Editions, e dell’opera omnia di Primo Levi, curata sempre dalla Goldstein per la Liveright Publishing.
Che la Ferrante fosse un caso, negli Usa, non è certo una novità: l’hashatag
#ferrantefever non è ignoto a chi bazzica i profili – soprattutto su Twitter – di lettori anglofoni, celebri e non, che l’hanno utilizzato per esprimere la «mania» positiva che li ha presi durante e dopo la lettura dei libri dell’autrice.
Europa Editions – costola statunitense dell’italiana E/O – ha saputo sfruttare l’ondata di popolarità e ora ne gode giustamente i frutti, continuando nel frattempo ad ampliare il proprio catalogo e a rafforzare il proprio rapporto con le librerie indipendenti e i lettori americani.
Può forse stupire maggiormente, invece, la presenza di una pubblicazione impegnativa come
l’opera omnia di Primo Levi, presentata in tre volumi per un totale di quasi tremila pagine: un’operazione filologica per cui si sono riviste traduzioni ormai storiche (come quella di Woolf per
Se questo è un uomo,
If This Is a Man) e se ne sono commissionate di nuove, includendo anche testi che non erano mai stati disponibili prima in lingua inglese, in particolare testi brevi (in genere riflessioni, articoli, saggi). Il tutto, come già detto, curato da Ann Goldstein, ormai un’habitué per quanto riguarda i grandi autori della tradizione letteraria italiana: ha collaborato, ad esempio, alla traduzione dello
Zibaldone di Giacomo Leopardi.
È innegabilmente lei il legame che unisce queste due opere; ed è lei uno dei migliori esempi di come a volte ci sia bisogno di una personalità forte per cominciare a imprimere un cambiamento in un corso che sembrava piuttosto placido (o, a seconda dei punti di vista, stagnante) come quello dell’editoria americana, da sempre restia a concedere spazio ad autori in traduzione. Certo, le percentuali non stanno variando poi di molto, e certo non ci si è allontanati granché da quel 3% di titoli tradotti sul totale di libri pubblicati ogni anno; ma sta lentamente mutando la percezione che i lettori, e non soltanto gli intellettuali, hanno della letteratura non anglofona. Volendo allargare lo sguardo agli altri novantotto libri segnalati dal «New York Times», ad esempio, troviamo molti altri libri provenienti da mondi lontani da quello Usa-centrico, come Karl Ove Knausgård, Magda Szabo, Valeria Luiselli:
quattordici titoli in totale. Che siano i primi, timidi passi di un rinnovamento profondo?
Laureata in Lettere moderne (con indirizzo critico-editoriale), ho frequentato il Master in editoria. Mi interessa la «vita segreta» che precede la pubblicazione di un libro – di carta o digitale – e mi incuriosiscono le nuove forme di narrazione, le dinamiche delle nicchie editoriali e il mondo dei blog (in particolare quelli letterari).
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