Per oltre una decade Valentina De Poli ha diretto il settimanale «Topolino». Cinquantadue numeri l'anno, cinquantadue editoriali, cinquantadue copertine approvate (chissà quante scartate) e cinquantadue riunioni di redazione ufficiali, senza contare i parliamone davanti a un caffè che – conoscendola un po’ – saranno sicuramente stati tanti. Il tutto moltiplicato per undici anni. Fa una bella cifra, vero? A lei l’onore e l’onere di aver guidato la rivista attraverso la rivoluzione social e di aver insegnato a leggere (ma anche l’ironia, il sarcasmo e la dolcezza) alla generazione Z, quella dei post millennials, che ci sta (forse) salvando la vita con i Fridays for future.
 
Non bisogna inoltre dimenticare che sotto la sua direzione è avvenuta la storica acquisizione di Disney Italia da parte di Panini. Cosa le resta di tutti quegli anni? Sicuramente tanti ricordi e tanto vissuto privato che ora potrà diventare anche un po’ nostro. Abbiamo incontrato Valentina De Poli in occasione della pubblicazione del primo numero del suo podcast. Si chiama Vita tra i paperi e in trenta minuti ci racconta la vita di tutti i giorni letta attraverso gli occhi di chi – per una fetta importante della propria carriera – ha avuto a che fare con i topi e i paperi più famosi della letteratura.  




Vita tra i paperi è il nome del tuo podcast. Come nasce l’idea e di cosa parlerai?

Sono cresciuta con il fumetto Disney, prima da lettrice che ha imparato a leggere con «le nuvolette» sulle pagine di «Topolino», e poi professionalmente dal 1987 a oggi, in varie tappe della vita. I paperi e i topi sono stati miei compagni di lavoro per più di vent’anni. Quando a fine 2018, dopo 11 anni, ho lasciato la direzione del settimanale «Topolino» mi sono detta immediatamente: quel rapporto profondo è stato troppo importante per essere messo nel dimenticatoio.
È una cosa che ti segna per sempre. Io sono una privilegiata che si è nutrita della relazione con i personaggi Disney e con i lettori e gli autori: ho, e continuerò ad avere, tantissime cose da raccontare e da ricordare. Da condividere. Infatti, con talento da segugio, all’inizio di quest’anno la piattaforma StorieLibere.fm, mi ha domandato se mi sarebbe piaciuto raccontare qualcosa della mia esperienza. Non me lo sono fatto ripetere due volte: la richiesta cadeva a pennello. Quando ci sono stravolgimenti nella vita delle persone, è fondamentale fare un po’ di ordine tra le cose. Ma non sapevo da dove partire: troppe cose, tutte belle e interessanti.
 

E quindi da cosa hai iniziato?

Scavando tra le cose più «fresche» ho scoperto che mi era profondo il rammarico di non aver potuto celebrare Paperino così come mi ero prefissata: ho vissuto tutti i compleanni importanti di Paperino dal 60° in avanti e visto che proprio nel 2019 si sarebbe celebrato l’85° anniversario dalla sua nascita, ho pensato che fosse arrivato il momento per fare un bilancio più personale del nostro rapporto. Io e Donald.
Ho imparato – anzi, sto imparando – a scrivere con la voce per raccontare, con cadenza mensile, la mia passione per Paperino e per indagare sul perché, alla fine, Paperino è tutti noi. È un pretesto anche per parlare della sua storia, con pillole audio di personaggi famosi del passato e di oggi, e soprattutto degli autori che lo hanno fatto vivere, molti dei quali ho conosciuto personalmente. Così è nato Vita tra i paperi, podcast prodotto da Aguilar per StorieLibere.fm.
 

Esordisci con queste parole: Ognuno di noi ha la sua storia con Paperino, io ho la mia. Da un punto di vista sociale, di cosa (e di chi) parliamo quando parliamo di Paperino?

Ricercando, riflettendo, rileggendo, ricordando e scrivendo il podcast mi sono resa conto della sua unicità: è un personaggio a fumetti capace di contenere la «biografia» di ognuno di noi. Perché a oggi, dopo 85 anni in cui Paperino è cresciuto con i suoi autori e con il suo pubblico, il segreto sta in che cosa noi proiettiamo sul personaggio, non solo in che cosa lui racconta di noi.


Cosa aggiunge Paperino nella narrazione della società odierna? Penso ovviamente all’Italia…


È facile proiettare su di lui le nostre debolezze – lo amiamo soprattutto quando è sfortunato, iroso, pasticcione, indolente – che lui ci restituisce rendendo tutto più sopportabile. Ci alleggerisce, caricandosi sulle spalle un bel po’ delle nostre frustrazioni. In questo senso Paperino è un personaggio perfetto, sempre. Quindi anche, e soprattutto, nell’Italia di oggi. In particolare per quanto riguarda i lettori adulti.
 

E per quelli più piccoli?

Loro apprezzano prevalentemente il lato comico del personaggio, quello legato alla sfortuna, e per loro è fondamentale il suo riscatto quando diventa Paperinik o DoubleDuck. Nel legame personale ed emotivo di ognuno di noi, invece, è rilevante soprattutto la storia in cui Paperino è protagonista. Lo racconto bene nel podcast dove ricordo Paperino-eroe in un’avventura legata a una mia grande passione, lo sport. Da ragazzina era il terreno comune con mio papà. In questo senso diventa importante anche come, dove e quando leggevo quella storia. Che cosa mi ricorda oggi, emozionandomi.
 

Sei soddisfatta del tuo esordio?

È stato faticoso scegliere di che cosa parlare: l’universo Paperino è praticamente infinito e anche il mio vissuto non scherza.
 

Cosa pensi del linguaggio podcast?

Dal punto di vista tecnico non nascondo la difficoltà fisica sull’uso della voce: nel primo episodio mi sono sentita come Casco Nero in Balle spaziali di Mel Brooks, avevo il fiatone! Poi negli episodi successivi mi sono sciolta. Quello del podcast è un mondo affascinante, sia nel dietro le quinte sia da ascoltatore.
Ho fatto un sacco di prove per capire che cosa mi succedeva ascoltando podcast di tutti i tipi – in inglese, educational, quelli di Ted, e naturalmente quelli dei «colleghi» – mentre ero in metropolitana o in auto o seduta alla scrivania in open space. Mi sono sentita un ascoltatore attivo e privilegiato, perché mi sembrava che ogni speaker stesse parlando solo a me, in un rapporto unico ed esclusivo. Un’esperienza nuova che mi ha conquistato. Sto imparando. Mi piace.


Come ti sei trovata con la piattaforma StorieLibere.fm?

A differenza di altre produzioni, è un progetto peculiare di narrazione e intrattenimento in cui la qualità della scrittura è fondamentale. L’ho sentito subito «mio» perché non si trattava di buttarsi in un lavoro completamente nuovo: vita vissuta e racconto sono il mio pane. Certo, l’uso della voce – e il tempo che incalza, non si ragiona per cartelle, ma a minutaggio – ti impone di cambiare il tuo atteggiamento quando sei davanti alla tastiera. Anche pensando a chi verrà dopo in fase di montaggio. Non è un caso che il pay off della piattaforma sia scrivere con la voce.
 

Sfortuna, tenacia, entusiasmo e identificazione. Sono gli elementi che caratterizzano Paperino e con cui possiamo leggere la realtà. Li troveremo anche nelle prossime puntate?

Certo, la formula sarà sempre la stessa. Parto da una storia di paperi particolarmente significativa del mio vissuto personale e professionale da cui prendere il largo per dare spazio agli autori italiani, al tema dell’identificazione con Paperino, in cui chiamo in causa, per esempio, la Mina degli albori o il famoso monologo di Bisio sulle parentele grazie a mini clip d’archivio, ma anche facendo riferimento a episodi vissuti dalla gente comune, per poi passare all’analisi delle tappe fondamentali della vita dei paperi in cui racconto gli autori stranieri, tra cui Carl Barks e Don Rosa, naturalmente.
Concludo sempre con un blocco di vita vissuta in redazione da direttore, la mia vita più recente. Come quella volta che mi sono emozionata quando è arrivato il disegno di Zerocalcare (che non finirò mai di ringraziare per avermi concesso l’onore della copertina del podcast firmata da lui), o il backstage del numero 3.000…



Hai già pensato ai prossimi episodi?

I primi sei sono già «scalettati». Posso dirti che nel secondo, disponibile da metà ottobre, si parlerà di come Paperino può soffrire per questioni di cuore e del suo amore impossibile, quello per cui tutti, senza ammetterlo, tifiamo. E poi racconto del grande sceneggiatore Rodolfo Cimino e del suo vocabolario ricercato, su cui sono cresciute intere generazioni. Dell’Uomo dei Paperi, Carl Barks, e di quando ho avuto l’onore di conoscerlo. Di quando, presa da delirio da direttore, ho chiesto a Tito Faraci di scrivere il remake di una delle pietre miliari di Barks. E lui ha detto sì!
 
 
Possiamo aspettarci puntate basate sull’attualità? Penso alle Olimpiadi, a Sanremo, agli Europei di calcio... eventi che in oltre dieci anni da direttore avranno lasciato aneddoti. 

Non possiamo legarci troppo all’attualità perché il podcast deve essere adeguato sempre, senza imposizioni di date o dar l’idea di avere una data di scadenza. Ma ho trovato il modo di parlare di calcio e di tutte le storie legate agli eventi di mainstream che hanno caratterizzato la mia direzione.
 

Uscendo per un momento dal podcast: uno dei temi che emerge dalla prima puntata è la capacità di «Topolino» di anticipare con le sue tematiche la realtà. Da direttore ti rendevi conto di avere questo «potere»? 

Sì, perché da lettrice negli anni ’70 e ’80 ho divorato le storie di Pezzin e Cavazzano!  Leggevo proprio l’altro giorno della proposta di creare un’isola galleggiante ricavata dalla plastica abbandonata nei mari, su cui andare in vacanza: «Topolino» lo ha raccontato trent’anni fa! Su questi temi visionari la differenza la fa il talento e l’attitudine degli autori.
Forse nella mia esperienza sono stata più consapevole del poter divulgativo delle storie di «Topolino». Il ciclo Comic&Science, che tra le altre cose ci ha spiegato la meccanica quantistica, è uno dei progetti di cui vado più fiera. Ma il vero merito va a Francesco Artibani e a Fausto Vitaliano che quelle storie le hanno scritte.
 

Tornando al podcast: ti sei divertita? Ci racconti come hai impostato il lavoro?

Ti dico solo che potendo… farei solo questo! Mi piace tutto: la fase di documentazione su libri e rete, la fase di scrittura, le interviste dal vivo, la fase in studio, dove seguo il mio testo e se non gesticolo, incespico. Dalla puntata due mi sono lasciata andare con qualche commento. Sto imparando anche a capire l’importanza del lavoro di produzione, soprattutto sulla scelta dei suoni e le pause della voce, un mestiere affascinante.
 

Quanto tempo ti serve per costruire una puntata? 

Non so ancora misurarlo perché, appunto, sono una «praticante». I volumi e i libri sulla scrivania di casa per il primo episodio sono straripati sul pavimento, ora che sto lavorando sul quarto episodio sono diventata più selettiva. La mia prima esperienza in studio è durata 4 ore. La seconda 2 ore e la terza è andata via liscissima in un’ora, tanto che pensavo di aver sbagliato qualcosa. E, invece, stavo solo facendo progressi! E poi, permettimi una nota emotiva: da ex direttore la cosa che mi manca di più è il costante contatto con i lettori attraverso l’editoriale. Il podcast mi permette di continuare a coltivare quel legame meraviglioso. Non è poco.
 

Il podcast si sta affermando quale strumento per parlare di letteratura. Possiamo estendere questo giudizio anche ai fumetti? 

Per quanto riguarda la letteratura non dico cosa nuova sottolineando il successo degli audiolibri e delle piattaforme dedicate, dove la scelta della voce narrante è un valore aggiunto che rende la fruizione di un testo letterario un’esperienza unica. Non sostituisce la lettura del libro. La arricchisce. Sui podcast di StorieLibere.fm trovo molto convincente il focus sulla passione degli autori, un elemento catalizzatore di attenzione che non è ripetibile su altro mezzo. Si instaura un rapporto di intimità con il pubblico, la voce ha un ruolo importantissimo in questo. E se la passione da esprimere parla di fumetto, ben venga. È una sfida quella di raccontare il media che parla per immagini e testo scritto… senza immagini e senza testo scritto. Forse impossibile. Però raccontare le emozioni, indagare il dietro le quinte, approfondire la personalità dei personaggi e degli artisti, sono tutti temi che possono trovare una voce unica attraverso il podcast.
Riascoltando l’episodio due, in arrivo a metà ottobre, mi sono resa conto di aver raccontato, rielaborandola, una storia intera, molto emozionante. Mettendoci il mio sentimento. Il risultato è un racconto scritto, inedito. Da ascoltare. Insomma, mi è sembrato di sperimentare un genere nuovo. Mi sembra che il podcast possa aggiungere una dimensione inedita alle narrazioni.

L'autore: Federico Vergari

Giornalista. Scrive per il web, la carta stampata, parla in radio e collabora con il Tg di una televisione locale romana. Si occupa prevalentemente di cultura, cronaca, sport e nuove tecnologie. Per Tempo di libri cura i contenuti del Bar Sport, un luogo dove si raccontano storie e l'editoria si fonde con la narrazione sportiva.

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