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Editori

«Cultura è sinonimo di civiltà». Intervista a Ernesto Ferrero

di E. Vergine notizia del 8 maggio 2014

In che direzione sta andando l’editoria oggi? In un Paese in cui la cultura è mortificata e la letteratura è un passatempo per pochi, eventi come il Salone internazionale del libro sono isole felici, il cui successo è in crescita. Ma cosa possiamo fare per impedire che la magia si rompa e che la popolarità che il libro e la lettura riscuotono in queste occasioni si protragga nel tempo? Ne abbiamo parlato con Ernesto Ferrero, direttore editoriale del Salone internazionale del libro di Torino. 

Vista dal suo punto di vista, come sta cambiando l’editoria?
L’editoria oggi deve affrontare innumerevoli sfide, tra cui credo che la più urgente sia capire come attrezzarsi all’impresa facendo quadrare i conti. L’era digitale mi pare introduca infatti una variabile di non poco conto che è il mantenimento della redditività. Ora questa redditività sembra scarsa, o almeno ridotta rispetto a quella precedente, ponendo un problema industriale non da poco. Inoltre ho l’impressione che gli editori scontino, senza colpe, il generale degrado culturale del Paese, frutto di decenni di assenza e noncuranza della politica la quale non si è mai occupata seriamente né di scuola, né di formazione, né di biblioteche, né di editoria, né di librerie. Il Ministero dei beni culturali è stato considerato da tutti i governi un dicastero «di serie B». Insomma, in buona sostanza lo Stato – ma anche le famiglie che a loro volta mi sembra abbiano abdicato dai loro compiti formativi, preferendo delegarli ad altri – non ha creato dei nuovi lettori forti, preparati e selettivi ed è con questa realtà che si scontra l’editoria. Questo è il problema principale oggi, un problema di civiltà in senso lato, che va al di là dell’editoria e che riguarda l’intero avvenire del Paese. Un Paese vale per quello che sa, dunque vale anche per come e quanto legge. Spero che il nuovo premier, che mi sembra sensibile a questi temi, dia una svolta alla situazione.

Lo scorso anno il Salone ha registrato un aumento del 7% nel numero dei visitatori, in netta controtendenza rispetto alla generale situazione italiana nella quale, al contrario, i consumi culturali sono in continua sofferenza.
Io dico sempre che il pubblico che frequenta il Lingotto in questi cinque giorni di maggio è straordinario perché fortemente preparato, competente, appassionato. Una folla che partecipa attivamente ad incontri e dibattiti, spesso di livello specialistico, affrontandoli con grande competenza. Non sembra nemmeno di essere in Italia ma nel Paese delle meraviglie, ovvero quello dei forti lettori. A fronte di un calo dei consumi culturali stimato annualmente intorno al 7% il Salone fa registra un incremento uguale e contrario dei visitatori: questo è il paradosso che da anni si offre alla riflessione degli editori. Insomma, che cosa succede negli altri 360 giorni? Dove sono questi lettori forti? A questi interrogativi posso dare delle risposte solo parziali. Certamente un ruolo chiave lo gioca l’atmosfera che si crea in questi giorni, l’importanza del riconoscersi, del ritrovarsi, del contarsi, dello stare insieme. Forse perché viviamo in un’epoca parcellizzata, frammentata, molto isolazionista.

Quindi i libri sarebbero la chiave per superare la solitudine al tempo dei social network.
Io non sono convinto che i social network siano poi tanto «social». Credo che, al contrario, fomentino la solitudine del singolo: tutti vogliono parlare, ma in pochi mi sembrano disposti ad ascoltare, a dialogare veramente con gli altri. La rete dei social mi sembra piuttosto un grande momento di esibizionismo personale che ai miei occhi appare anche un po’ patetico e grottesco. Il successo del Salone del Libro sottolinea invece l’importanza del ritrovarsi e riconoscersi in un soggetto plurale e collettivo. Naturalmente questo fenomeno non si verifica solo a Torino, ma anche al Festivaletteratura di Mantova, a Più libri più liberi a Roma e nelle tante fiere e festival a sfondo culturale che ci sono in Italia. Dobbiamo trasformare la popolarità di queste iniziative in un’occasione di riflessione e interrogarci sugli altri modi di promuovere i libri e la lettura, di farne parlare, di portarli all’attenzione del pubblico. Questo mi sembra il punto cruciale, la difficoltà più grande, forse perché oggigiorno c’è un grande rumore di fondo in cui tutto si perde e in cui è difficile agganciare l’attenzione dei lettori. Gli editori oggi devono superare questo frastuono per far arrivare ai lettori il messaggio contenuto nei libri. 

A proposito di questo messaggio, che idea si è fatto dei gusti dei lettori?
Devo dire che mi sembra di rilevare un appiattimento generale delle letture verso l’intrattenimento e la narrativa di genere. Nulla contro questa letteratura, sia chiaro: fatalmente sono opere consolatorie e chissà, di questi tempi forse abbiamo bisogno di un po’ di evasione e di consolazione. Tuttavia io vedo con preoccupazione la rinuncia ad affrontare quello che è un po’ più impegnativo, parlo della vera letteratura che è anzitutto uno strumento di conoscenza, di ricerca, di indagine e dunque richiede un minimo sforzo da parte dei lettori. Mi sembra che oggi ci sia meno disponibilità ad affrontare questa piccola fatica, eppure dovremmo aver capito da tempo che non ci si salva prendendo delle scorciatoie: solo se saremo capaci di fare più fatica, di prestare più attenzione, impegno, determinazione potremo uscire vincenti dalla sfida del futuro.

L'intervista completa, Le novità del Salone a cura di Elena Vergine è pubblicata sul «Giornale della libreria» di maggio. Se non sei abbonato, scopri qui le condizioni di abbonamento.

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