
La
letteratura per YA costituisce una vera e propria miniera d’oro per gli editori, se non altro per la capacità del genere di stare a cavallo tra gli interessi di due fasce d’età e quindi di
catturare una gamma di lettori piuttosto vasta. La letteratura YA è spesso attraversata da tematiche e mode che si prestano facilmente a diventare veri e propri fenomeni transmediali: si pensi per esempio ai
vampiri che da
Twilight in poi hanno monopolizzato le letture degli adolescenti di tutto il mondo per un lungo periodo la cui conclusione grosso modo coincide con l’uscita nei cinema, lo scorso inverno, dell’ultimo film tratto dalla saga.
Dopo i vampiri è stata la volta degli
zombi, in chiave horror così come appaiono nel serial
Walking Dead tratto dall’omonima serie a fumetti di Robert Kirkman, o romantica come vengono dipinti in
Warm Bodies di Isaac Marion (Fazi Editore).
E dopo gli zombi?
Continua ad essere la morte, o la non morte che dir si voglia, a fungere da
trait d’union tra i generi portanti della letteratura YA. Il nuovo fenomeno si chiama
«sick-lit» e sta già facendo discutere. L’etichetta si riferirebbe a tutti quei libri in cui
almeno uno dei protagonisti è affetto da una qualche malattia – si va dall’anoressia al cancro – e in cui, di conseguenza, una parte importante della narrazione è incentrata sul tormento, l’agonia, il fascino oscuro della morte e la speranza fioca della vita.
Su «la Repubblica» del 3 marzo è uscito un articolo di Elena Stancarelli proprio dedicato al tema (il titolo è
Dolori di successo) dove è possibile trovare una lista dei best-seller del genere. Riportiamo i più noti (o quelli con i titoli più esplicativi):
Never Eighteen di Megan Bostic,
So much to live for di Lurlene McDaniel,
Red Tears di Joanna Kentick,
The probability of miracles di Wendyu Wunder,
Voglio vivere prima di morire di Jenny Downham (Bompiani),
Quel che ora sappiamo di Catherine Dunne (Guanda).
Il fenomeno della sick-lit, per il momento, sembra comunque essere
più diffuso nel mondo anglosassone che in Italia dove non ha ancora raggiunto una massa critica sufficiente per attirare l’attenzione dei nostri critici. All’estero invece la sick-lit ha scatenato una vera e propria guerra d’opinione tra chi la giudica
morbosa, immorale e disturbante e chi ritiene moralista, bigotto e fuori dal tempo chi pensa che ai ragazzi vadano propinate solo storie fantastiche, le cui trame sono completamente slegate dalla realtà quotidiana.
Dal nostro punto di vista, al di là del giudizio sul genere, è interessante notare come proprio questo segmento letterario sia ancora una volta tra i più attivi e dinamici della produzione editoriale conteporanea, vera «cucina» a cui guardare per scoprire, in nuce, tendenze e mode che dai libri passano poi a produzioni cinematografiche, serie tv fino a determinare veri e prorpi modi di essere.