Se tutta l’Europa è in crisi, il rapporto Ius presentato negli scorsi giorni a Bruxelles getta un ombra piuttosto negativa sulla crescita del nostro Paese. Unici stati in controtendenza sono ovviamente Svezia, Danimarca, Finlandia e Svizzera.
Il rapporto Ius divide i Paesi membri dell’unione in quattro gruppi: leader d’innovazione, inseguitori, innovatori moderati, modesti. L’Italia si colloca nel penultimo gruppo – insieme a Spagna e Grecia – e per giunta al sedicesimo posto.
Tra gli innumerevoli indicatori che sono stati monitorati per la compilazione dell’indagine c’erano l’istruzione nazionale, la qualità del sistema di ricerca e il livello dei finanziamenti. Nel nostro Paese le persone tra i 25 e i 34 anni in possesso di un dottorato arrivano a un tasso di 1,6 ogni mille persone (la media europea è di 1,5) con scarse differenziazioni tra uomini e donne. E fin qui tutto bene. I problemi nascono quando si va a indagare sulla fascia d’età più alta (30-34 anni): i laureati italiani sono meno del 20% contro il 40% di Inghilterra, Francia e Spagna. Ovunque, eccetto in Germania, la percentuale delle donne laureate supera quella degli uomini. Per quanto riguarda la capacità dell’Italia di farsi meta di studio per gli stranieri i dati parlano chiaro: la percentuale di studenti provenienti dall’estero ad essersi trasferiti nel nostro Paese per ottenere un dottorato è del 5%, la media europea è del 20%.
Come rilevato anche sul Gdl (Laura Novati, La scienza si fa festival, «Giornale della Libreria», 2, febbraio, 2012, pp. 28-29) è desolante il numero di pubblicazioni italiane citate al mondo: nello specifico in Italia le collaborazioni accademiche tra imprese e istituzioni portano a meno di 25 (la media europea è di 40) pubblicazioni scientifiche ogni milione di abitanti.
Questo per non parlare degli investimenti pubblici in ricerca e sviluppo che sono fermi allo 0,6% del Pil contro lo 0,75% europeo.
Che Italia emerge da questi dati? Il nostro sarebbe un Paese la cui crescita è lenta e debole, al di sotto della media europea che di per sé non è alta. Un Paese che non ha creduto finora nella ricerca, nei giovani, e che non è in grado di collaborare. Il governo Monti ha comunque stabilito specifici piani di crescita per invertire le tendenze emerse nel rapporto Ius 2011.