«Perché ha saputo cogliere, negli ultimi 30 anni, la forza emergente delle istanze delle letterature balcaniche e in special modo quella albanese, portandole all’attenzione del pubblico italiano con raffinate traduzioni ed edizioni curatissime che hanno tracciato un solido ponte fra Italia e Oriente d’Europa, un ponte non fatto di pietre e sassi, ma di persone e parole, di ciò che vive nei cuori della gente e nelle loro storie, in quello che si costruisce con passione, cura e amore».
È con questa motivazione che l’Associazione Centro Studi Galatana ha assegnato a Livio Muci il Premio Antonio De Ferrariis Galateo. Istituito da Vittorio Zacchino, il premio prende il nome dall'umanista salentino del Quattro-Cinquecento e vuole celebrare quelle studiose e quegli studiosi che si sono distinti per la loro produzione letteraria, scientifica e artistica e per il loro impegno nel campo culturale, sociale ed economico.
«Dopo aver considerato l’intera esperienza lavorativa e la specificità/originalità dell’attività svolta con riferimento all’ambito oggetto di valutazione – si legge tra le ragioni del conferimento – il legame personale e professionale con il territorio salentino, il contributo dell’attività svolta al miglioramento delle condizioni umane, culturali, sociali, economiche del contesto, il comitato ha ritenuto il profilo di Livio Muci meritevole del premio. In particolare, è stata valorizzata la sua intensa e lunga attività di editore e di scopritore di talenti, con la quale ha contribuito alla promozione di una cultura e letteratura del dialogo tra l’Italia e l’Oriente d’Europa, allargando prospettive e circuiti territoriali, in nome dell’unione tra i popoli e della diffusione di valori sociali e civici».
«Il primo libro lo abbiamo pubblicato nel 1991, quando Besa non era una casa editrice ma un’associazione di volontariato» raccontava Livio Muci al Giornale della Libreria un anno fa. «S’intitolava Dal paese delle aquile: un’antologia dei più importanti autori dell’Albania contemporanea».
Più che il titolo, rifletteva l’editore leccese, profetico fu il sottotitolo, Non solo profughi. Concepito e lavorato nel 1990, il libro uscì infatti l’anno successivo, a pochi mesi dallo sbarco a Bari di circa 20 mila profughi albanesi. L’arrivo della nave Vlora fu il dirompente, controverso incipit di un percorso di avvicinamento culturale che Besa aveva già intrapreso, e che nei decenni successivi avrebbe proseguito come casa editrice.
«Il nostro obiettivo però non era, e non è, quello di rincorrere il best seller. Non solo. Piuttosto di rappresentare la cultura e la letteratura albanese, e più in generale balcanica, indagandone la complessità, la profondità, l’ampiezza».