Indipendenza o non indipendenza? Questo è il dilemma a cui cinque milioni di scozzesi sono chiamati a dare una risposta con il referendum popolare che sancirà se, dopo più di 200 anni, le terre al di là del Vallo torneranno libere e indipendenti.
Gli scozzesi, si sa, tra le diverse nazionalità raccolte sotto l'Union Jack sono uno dei popoli più eccentrici: parlano un inglese venato da numerose inflessioni gaeliche (tanto che non è raro per un londinese farsi scappare un involontario «say it again?»), sono estremamente fieri delle loro origini e delle loro tradizioni (dal lancio del tronco, all’abitudine di indossare il kilt senza biancheria intima) e, anche dal punto di vista culinario, hanno sviluppato passioni decisamente autoctone (una sola parola:
haggis).
Il dibattito sulla secessione della Scozia dal resto dell’isola, dunque, oltre che da questioni di autonomia economica e fiscale (c’è in gioco lo sfruttamento dei giacimenti di petrolio nel Mare del Nord, per dirne una), è guidato anche da profonde differenze culturali e, non a caso, il vero copy di Alex Salmond, leader dello Scottish National Party e primo ministro scozzese, è proprio
Robert Burns, il poeta per antonomasia a quelle latitudini, che con i suoi vibranti versi ha prestato più volte le parole alla propaganda nazionalista.
Dalle Shetland a Edimburgo, il dibattito ha coinvolto proprio tutti e
anche le celebs del libro, dopo quelle della musica e dello spettacolo, hanno prestato il proprio volto per la causa.
Sul
fronte indipendentista il nome più noto è quello di
Irvine Welsh, autore di
Trainspotting e, più recentemente di
Porno, che vede nell’indipendenza da un lato una strada per riuscire a mantenere in patria la ricchezza prodotta dagli scozzesi garantendo così maggiori risorse per il welfare, dall’altro un modo per liberarsi dai vizi del dilagante sistema politico inglese, troppo elitario e corrotto. «Come nota personale al dibattito –
scrive Welsh sul «Guardian» – posso garantire che, avendo vissuto gran parte dell’ultima decade tra Irlanda e Stati Uniti, negli ex domini inglesi nessuno si dispera per non essere più sotto il controllo di Londra. Quando Inghilterra e Scozia si saranno liberate della corruzione, dell’imperialismo e dell’elitarismo di cui è impregnato il sistema, posso garantire che i loro popoli si sentiranno esattamente nello stesso modo».

Anche
la poetessa e scrittrice scozzese Liz Lochhead voterà per l'indipendenza della Scozia («Penso che questo sia un Paese non una regione del Regno Unito o della Gran Bretagna, che non mi sembra né unita né tantomeno grande») ed è in buona compagnia visto che nelle passate settimane più di
1.300 artisti (tra cui numerosi scrittori)
hanno firmato una lettera a supporto del voto e dell’indipendenza.
Ad essere fortemente
contraria alla secessione è invece l’autrice di
Harry Potter,
JK Rowling, che non si è limitata a qualche dichiarazione a sostegno del fronte del no, ma ha calato il carico da novanta
donando un milione di sterline al fronte anti indipendentista e alla campagna
Let’s Stay Together che al momento ha raccolto il supporto il supporto di circa 200 personaggi di spicco.
Il perché della criticattissima (date uno sguardo ai social) scelta è stato argomentato dalla Rowling
sul suo sito: «Questa separazione non sarà veloce né pulita e soprattutto ci saranno conseguenze economiche che potrebbero impattare su tutti gli aspetti della vita quotidiana degli scozzesi, dalla sanità all’istruzione. Non si è più scozzesi se si vota per l’indipendenza».
Tra le tante voci a fare notizia sono anche i silenzi, primo tra tutti il noto giallista
Ian Rankin che ha scientemente
preferito non schierarsi: «Quello che penso lo si può capire leggendo i miei librii: John Rebus [il detective che lo ha reso celebre,
ndr] vorrebbe mantenere lo status quo, il detective Siobhan Clarke, più giovane e idealista voterebbe sì. Io sono sospeso a metà tra queste due posizioni, cercando disperatamente di non prendere posizione. Esprimere la propria preferenza pubblicamente porterebbe solo a farsi dei nemici».