Quando una multinazionale sceglie il volto di un poeta per pubblicizzare il suo prodotto, allora il mondo della letteratura si fonde con quello delle scarpe sportive, delle bevande energetiche e degli snack dando vita ad un cocktail tutt’altro che banale.
È quanto accaduto di recente al compianto poeta gallese
RS Thomas il cui volto
è stato avvistato su di un pacchetto di patatine.
«The Guardian» non si è fatto sfuggire l’accaduto e ha così proposto ai suoi lettori
un’accurata rassegna delle
pubblicità che si sono avvalse della collaborazione – più o meno consapevole in quanto spesso postuma – di
noti volti del mondo della letteratura.
Dal sommo poeta inglese
William Shakespeare usato per sponsorizzare la nota bevanda energetica
Redbull all’americano
Walt Whitman, la cui opera più nota,
Foglie d’erba, scandisce
You Verse, la campagna di lancio dell’iPad Air, passando per il romanziere
Scott Fitzgerald, prescelto dal brand di moda Calvin Klein per accompagnare, con le sue parole,
lo spot del profumo Obsession, la lista degli autori individuati per vendere prodotti è ben lungi dall’essere completa. Per non fare nomi potremmo citare
William Burroughs per Nike (il romanziere americano era ancora vivo quando venne mandato in onda il
commercial delle sneakers), oppure
Émile Zola, Alexandre Dumas, Victore Hugo, Jules Verne e
Arthur Conan Doyle usati per commercializzare il tonico Vin Mariani o, ancora, Hernest Hemingway che, con John Steinbeck, contribuì alla
campagna della birra Ballantine.
Per avvicinarci un po’ di più ai nostri giorni invece potremmo citare invece
Frederick Forsyth testimonial per Rolex o
Stephen King per
American Express e per
ESPN.
Insomma è un ricco panorama quello delle pubblicità ispirate o incentrate sulle parole di un autore, o con un letterato come testimonial e, tuttavia, due sono gli aspetti su cui riflettere.
Il primo è che la galassia delle pubblicità rispecchia quella letteraria dal punto di vista della prevalenza di autori uomini rispetto alle donne, ovvero, proprio come accade nel mondo editoriale dove gli autori uomini sono più premiati e meglio recensiti delle loro colleghe – ne facevamo cenno la scorsa settimana nell’articolo
Editori, attenzione ai bookclub! –, anche il mercato sembra puntare su testimonial letterari di sesso maschile.
La seconda riflessione riguarda
l’efficacia di questi commercials. Sarebbe interessante capire se tali pubblicità sono in grado di sortire un effetto (subliminale) di qualche genere sulle vendite delle opere degli autori citati: lo spettatore ignaro guarda lo spot dell’iPad, della Nike, dell’ultima fragranza di Calvin Klein e le parole che accompagnano il messaggio in un qualche modo lo rapiscono e stuzzicano la sua curiosità.
Non sembra un’ipotesi del tutto campata in aria: del resto sempre più spesso si sperimenta legando il libro ad altri prodotti non book per vedere di innescare un qualche «effetto traino» sulle vendite. Ma se così fosse allora che perfino le frasi contenute nei Baci Perugina possano diventare un modo per promuovere la lettura? Altamente improbabile… ma non impossibile.
In un Paese dove i lettori forti sono sempre meno e dove la cultura letteraria viene svilita sempre più, una riflessione sul
potere della parola come veicolo di emozioni da legare perfino alla commercializzazione di prodotti ed accessori è davvero così inopportuna? E se non sono gli stessi editori, con i loro autori, a insistere su questo concetto a chi spetta l’ingrato compito?
Potrebbe essercene bisogno: mi sono sforzata di pensare a pubblicità italiane incentrate su grandi autori della nostra letteratura e tutto quello che mi è venuto in mente è Dante…
per la carta igienica.