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Curiosità

Lo schwa arriva nei libri di Effequ per sostituire il maschile sovraesteso

di Alessandra Rotondo notizia del 26 ottobre 2020

«Quando Vera Gheno in Femminili singolari ha proposto l’utilizzo dello schwa (ə) per marcare le forme non binarie, Francesco Quatraro e io abbiamo deciso di comune accordo di modificare le [nostre] norme editoriali, per avvicinarci alla nostra idea di mondo: un posto accessibile, colorato, inclusivo» scrive Silvia Costantino, socia, redattrice e ufficio stampa della casa editrice Effequ.

«Schwa» è il nome del simbolo grafico «ə» dell’alfabeto fonetico internazionale e designa spesso una vocale centrale media. In italiano non è presente come fonema, ma appare in diversi dialetti del Centro e Sud Italia. In alcuni, come quello di Napoli o di Bari, la riduzione a schwa delle vocali finali «neutralizza opposizioni flessive o distinzioni morfologiche» scrive l’enciclopedia Treccani. Rappresentando un suono vocalico neutro, indistinto, che si pone a metà strada tra tutte le vocali esistenti, lo schwa consentirebbe di superare l’utilizzo sovraesteso del maschile e il binarismo linguistico tanto nella forma scritta che nel parlato, ed è in quest’ottica che la casa editrice toscana comincerà a usarlo nelle sue pubblicazioni.

«In italiano – scrive la sociolinguista Vera Gheno – alcuni tentativi per far riemergere una sorta di neutro hanno portato all’impiego, nello scritto, dell’asterisco in fine di parola: car* tutt*; un uso interessante e molto espressivo, forse più elegante del raddoppio care tutte e cari tutti, che può effettivamente diventare molto farraginoso, ma con un difetto che non può che limitarne l’impiego su ampia scala: l’impronunciabilità. Proprio tenendo conto di questo limite oggettivo, qualche tempo fa avevo proposto (ma non sono stata la prima a farlo) l’impiego, in questi contesti, dello schwa […]. Certo, lo schwa ha a sua volta un limite: il simbolo non è presente sulla tastiera standard, e anzi, è noto solo a una parte della comunità dei parlanti. Ciononostante, chissà che non possa un giorno porsi come alternativa valida per i casi in cui non identificare il genere di una moltitudine o di una persona è rilevante: Carǝ colleghǝ, siete tuttǝ benvenutǝ».

Il dibattito sulla lingua come strumento di parità, inclusione, rappresentanza e autodeterminazione sta attraversando molti Paesi, sostenuto frequentemente dall'attivismo femminista ed LGBTQIA+ e partecipato non di rado da molta parte dell’opinione pubblica: dai giornali alle chiacchiere da bar. Qualsiasi cosa se ne pensi – e nonostante i tentativi di ridicolizzazione e di benaltrismo cui sono sovente sottoposti questi temi e chi li affronta – il volume di dialogo che vi si genera attorno mostra ancora una volta che la parola è materia viva, forgiata dall’uso e dalle esigenze. Campo di battaglia politico e sociale delle nostre evoluzioni e involuzioni.

«Sappiamo bene che non è attraverso l’imposizione di una nuova convenzione che la lingua cambierà: il nostro approccio è volutamente provvisorio, anche perché manca ancora della fluidità e della precisione che solo il tempo e l’uso possono fornire» precisa Silvia Costantino. «Quello che ci proponiamo è di mantenere uno sguardo obliquo e attento, alla costante ricerca di prospettive laterali e proposte militanti, perché la scrittura sia e rimanga un laboratorio di democrazia, con l’obiettivo di fare dell’editoria una pratica che si impegni davvero a guardare al futuro a partire dalla partecipazione al presente».

L'autore: Alessandra Rotondo

Dal 2010 mi occupo della creazione di contenuti digitali, dal 2015 lo faccio in AIE dove oggi coordino il Giornale della libreria, testata web e periodico in carta. Laureata in Relazioni internazionali e specializzata in Comunicazione pubblica alla Luiss Guido Carli di Roma, ho conseguito il master in Editoria di Unimi, AIE e Fondazione Mondadori. Molti dei miei interessi coincidono con i miei ambiti di ricerca e di lavoro: editoria, libri, podcast, narrazioni su più piattaforme e cultura digitale. La mia cosa preferita è il mare.

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