Quando una catena di centri fisioterapici di Seattle ha deciso di sostenere un investimento pubblicitario per attrarre nuovi pazienti, ha puntato su una campagna di annunci online targettizzata sugli utenti geograficamente vicini alle sue sedi, selezionando quelli che avevano recentemente acquistato tutori e bande elastiche su Amazon.
Qualcosa di simile è successo con una società venditrice di prodotti finanziari, che ha accompagnato il lancio di un nuovo pacchetto di piani pensionistici dirigendo i suoi adv digitali ai quaranta-cinquantenni che avevano recentemente acquistato su Amazon un libro sulla gestione delle finanze personali.
Allo stesso modo, quando un importante circuito di credito ha deciso di ampliare il bacino di possessori delle sue carte, lo ha fatto selezionando come target i soli clienti dei circuiti concorrenti. Come si è procurato quest’informazione? Naturalmente attraverso lo storico dei pagamenti effettuati dagli utenti sulla piattaforma di Bezos.
Il meccanismo è chiaro. Amazon conosce nel dettaglio le nostre abitudini di spesa e può incrociarle con le informazioni geo-anagrafiche che possiede su di noi. Via via che il suo universo diventa più fitto e capillare (non solo l’e-commerce «tradizionale» ma anche quello istantaneo di Prime Now; non solo l’acquisto di prodotti, ma la fruizione di servizi d’intrattenimento: dagli e-book a Prime Video, passando per Audible) quest’ordito d’informazioni si arricchisce e si completa, definendo un profilo dell’utenza sempre più appetibile per gli inserzionisti pubblicitari.
Non è un caso che la pubblicità venduta da Amazon sia sulla piattaforma che fuori – un tempo un’entrata assolutamente secondaria per la company – possa essere considerata oggi la terza voce di guadagno dell’azienda, dopo l’e-commerce e il cloud computing: un business da più di 125 miliardi di dollari.
Non è una novità, d’altronde, che le piattaforme che maneggiano – e archiviano, e aggregano – una grande quantità di dati sugli utenti costruiscano forme di business su queste informazioni. E al vertice di questo ecosistema troviamo senza dubbio Google e Facebook. Molte funzioni pubblicitarie offerte da Amazon sono assolutamente sovrapponibili a quelle dei colossi del web appena nominati, a partire dalla possibilità di definire un target sulla base degli interessi, delle ricerche effettuate e delle caratteristiche anagrafiche, demografiche e geografiche dell’utenza. In più, però, Amazon però contare sulla conoscenza concreta degli eventi d’acquisto, un dato che offre la possibilità di livelli di scrematura e filtraggio del target ancora maggiori.
Se il grosso della pubblicità venduta da Amazon è coperto, per il momento, dai retailer che vogliono il loro prodotto in cima ai risultati delle ricerche effettuate – sulla piattaforma – dagli utenti, c’è un altro tipo di advertising che si sta diffondendo con rapidità: i video e le afiches su siti terzi, in aperta concorrenza con gli altri giganti dell’advertising online.
Gli inserzionisti che si rivolgono al sistema self-service di adv di Amazon possono scegliere tra centinaia di segmenti automatizzati di audience, talvolta con caratteristiche molto definite e singolari: dagli «acquirenti internazionali di prodotti alimentari» a chi ha precedentemente cercato «trattamenti per l’acne»; da chi fa acquisti per «bambini da 4 a 6 anni» ai «fan di Denzel Washington». La piattaforma garantisce di non condividere le informazioni sugli utenti, ma semplicemente di assicurarsi che il contenuto pubblicitario concordato finisca sotto gli occhi giusti.
Interessante (ed esemplificativo delle dinamiche e delle potenzialità della pubblicità di Amazon)
il caso di Just the Cheese raccontato dal «New York Times». Si tratta di un brand – di proprietà della statunitense Specialty Cheese Company – di barrette croccanti di formaggio disidratato che vengono vendute come snack a basso contenuto di carboidrati. L’analisi algoritmica degli annunci pubblicitari del prodotto su Amazon ha permesso all'agenzia pubblicitaria Quartile Digital – incaricata della campagna – di cogliere un’affinità tra l’acquisto di barrette al formaggio e quello di altri due spuntini ipocalorici (uno snack per la dieta chetogenica e la «pizza di cavolfiore», trend di Internet ormai da qualche tempo). Così l’agenzia ha disseminato il web di contenuti pubblicitari
visibili a chi aveva già acquistato, su Amazon, questi due prodotti, convogliandone i click sulla pagina d’acquisto delle barrette al formaggio (oggetto della comunicazione pubblicitaria). In tre mesi l’ads è stato mostrato più di sei milioni di volte e cliccato circa 22 mila:
4 mila i click che si sono trasformati in ordini. Un tasso di conversione del 20%.
Dal 2010 mi occupo della creazione di contenuti digitali, dal 2015 lo faccio in AIE dove oggi coordino il Giornale della libreria, testata web e periodico in carta. Laureata in Relazioni internazionali e specializzata in Comunicazione pubblica alla Luiss Guido Carli di Roma, ho conseguito il master in Editoria di Unimi, AIE e Fondazione Mondadori. Molti dei miei interessi coincidono con i miei ambiti di ricerca e di lavoro: editoria, libri, podcast, narrazioni su più piattaforme e cultura digitale. La mia cosa preferita è il mare.
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