Nel 2019 il numero dei «lavoratori culturali» ha raggiunto, in Spagna, la cifra più alta mai registrata dal settore: 710.200 persone. Finora il record era stato quello del 2008 quando – l’anno in cui tutto si è bloccato, quello dell’arrivo della crisi finanziaria – il comparto culturale contava 706.300 impiegati.
Dopo una caduta che ha toccato il fondo nel 2012 (con 569.200 dipendenti) il settore è gradualmente cresciuto fino a raggiungere il nuovo picco, come ha comunicato il Ministero della cultura e dello sport, coi i dati dell'Istituto nazionale di statistica alla mano. Il volume di occupazione legato al settore culturale è cresciuto del 2,9% rispetto al 2018 e rappresenta, oggi, il 3,6% dell'occupazione totale in Spagna.
La crescita si concentra soprattutto nel sotto-segmento dei «professionisti e tecnici del mondo artistico e culturale», con 388.500 impiegati. Gli «scrittori, giornalisti, linguisti, artisti, archivisti e bibliotecari» sono rimasti congelati alla cifra dell’anno precedente: 169.300. Il settore che ha perso il maggior numero di posti di lavoro è quello delle attività cinematografiche, video, radiofoniche e televisive (da 81.900 a 76.100 impiegati).
Solo il 68,8% del lavoro svolto in questo comparto risulta però retribuito, una percentuale di gran lunga inferiore rispetto a quella media, dell’84,3%. Un segnale positivo sembra però arrivare, nel 2019, da un certo calo della precarietà contrattuale. Nell’anno da poco concluso, infatti, nel segmento delle industrie culturali sono cresciute del 3,8% le assunzioni a tempo indeterminato, mentre i contratti temporanei sono calati del 5,3%.
I dati rivelano anche un perdurante problema di disparità tra i generi. Il lavoro culturale è svolto nel 60% dei casi da uomini, contro una media nazionale globale del 54,6%. Nel 2019, 284.300 donne e 425.900 uomini sono risultati impiegati nelle industrie creative. L'occupazione femminile è cresciuta del 5,2% rispetto all'anno precedente, quella maschile del 1,4%. Troppo presto per cogliere una tendenza al riequilibrio.
Il maggior numero di lavoratrici del segmento culturale è concentrato nelle «attività di progettazione, creazione, traduzione, arte e intrattenimento» con 67.500 donne impiegate. All’estremo opposto il settore delle «attività cinematografiche, video, radio e televisive»: con 91.400 lavoratori vs 28.800 lavoratrici, è in assoluto il più maschile.
L’editoria libraria e periodica – censita dall’Istituto nazionale di statistica spagnolo assieme a biblioteche, archivi e musei – è l’unico sotto-segmento in cui l’impego femminile supera quello maschile, con 45.600 lavoratrici e 39.200 lavoratori.
Dal 2010 mi occupo della creazione di contenuti digitali, dal 2015 lo faccio in AIE dove oggi coordino il Giornale della libreria, testata web e periodico in carta. Laureata in Relazioni internazionali e specializzata in Comunicazione pubblica alla Luiss Guido Carli di Roma, ho conseguito il master in Editoria di Unimi, AIE e Fondazione Mondadori. Molti dei miei interessi coincidono con i miei ambiti di ricerca e di lavoro: editoria, libri, podcast, narrazioni su più piattaforme e cultura digitale. La mia cosa preferita è il mare.
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