Google avrebbe finanziato alcune ricerche accademiche in linea con la sua visione e con i suoi interessi su temi di politica pubblica. A sostenerlo è un articolo apparso qualche giorno fa sul «Wall Street Journal» che prende le mosse dall’analisi di 329 documenti accademici identificati come «collegati a Google» da Campaign for Accountability, un’organizzazione apartitica e senza scopo di lucro che conduce ricerche e campagne di comunicazione mirate a porre in luce quelle che definisce «storture della politica».

Il report dell’organizzazione mostra che queste 329 pubblicazioni accademiche, prodotte tra il 2005 e il 2017 e concentrate su tematiche politiche di fondamentale importanza – come la tutela della concorrenza sui mercati – sono state «in qualche modo finanziate» dal colosso di Mountain View.

L’articolo del «Wall Street Journal» riprende anche estratti di e-mail che proverebbero come gli incaricati di Google abbiano cercato di influenzare le ricerche e gli scritti dei professori coinvolti. Per esempio Daniel Sokol, professore di diritto alla University of Florida, che in un suo articolo aveva sostenuto la liceità della gestione dei dati degli utenti da parte di Google – questione controversa per i tutori della privacy – omettendo la sua collaborazione con uno studio legale che rappresenta proprio Big G. Sempre dalle stesse e-mail emergerebbe una richiesta di fondi, fatta da Sokol a Google, per convincere altri docenti a produrre policy paper in concomitanza di una conferenza online organizzata dalla company statunitense.
Google, in risposta, ha riferito al «Wall Street Journal» di non aver mai pagato alcun docente universitario, benché nelle mail incriminate si legga chiaramente la richiesta di Sokol  di «5 mila dollari, come la volta scorsa» per il suo lavoro.

I tentativi di Google di influenzare le ricerche degli accademici sarebbero numerosi.  Compreso il caso del professor Daniel Crane della University of Michigan, che avrebbe declinato un’offerta di finanziamento a uno studio dove esprimeva tesi sfavorevoli alla «regolamentazione antitrust dei motori di ricerca». «I soldi sono importanti – avrebbe sottolineato Crane –, ma non devono ostacolare l’oggettività della ricerca scientifica».

Google ha definito il report di Campaign for Accountability «molto fuorviante», precisando che quando l’azienda stanzia fondi a favore degli enti pubblici di ricerca, l’impegno reciproco è quello di rivelare l’origine dei finanziamenti. Il gigante della rete ha anche criticato duramente l’organizzazione no profit per aver celato le aziende finanziatrici alle sue spalle, tra le quali compare Oracle. Google, infatti, ritiene che Oracle stia «conducendo una ben documentata campagna di lobbying contro di noi». E mette ugualmente in dubbio la liceità e la correttezza dei finanziamenti erogati dalle altre aziende sponsor della no profit.

Un portavoce di Oracle ha riferito a «Fortune» che la società «non ha assolutamente a che fare con il report». Mentre da Google hanno ulteriormente sottolineato come in azienda siano tutti «orgogliosi dei nostri programmi [di finanziamento] e della loro integrità», aggiungendo che evidentemente non possono dire altrettanto né quelli di Campaign for Accountability né le società da cui vengono finanziati.

Ma evitando di far riferimento a quegli scambi di e-mail intercorsi tra propri dipendenti e svariati professori universitari e pubblicati dal «Wall Street Journal».

L'autore: Alessandra Rotondo

Dal 2010 mi occupo della creazione di contenuti digitali, dal 2015 lo faccio in AIE dove oggi coordino il Giornale della libreria, testata web e periodico in carta. Laureata in Relazioni internazionali e specializzata in Comunicazione pubblica alla Luiss Guido Carli di Roma, ho conseguito il master in Editoria di Unimi, AIE e Fondazione Mondadori. Molti dei miei interessi coincidono con i miei ambiti di ricerca e di lavoro: editoria, libri, podcast, narrazioni su più piattaforme e cultura digitale. La mia cosa preferita è il mare.

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