La raccolta e l’analisi delle
informazioni disseminate dagli utenti mentre navigano in rete, utilizzano app e servizi digitali, sono tra gli aspetti cruciali della contemporaneità. Abbiamo spesso parlato di quanto i «dati» stiano modificando l’universo dei media e ci siamo spesso chiesti quando e come l’editoria sarebbe stata attraversata da questi fenomeni, e con quali conseguenze. Nel nostro settore, un’esperienza alla quale abbiamo fatto più volte riferimento è per esempio
quella di Andrew Rhomberg e del suo Jellybooks, il software che, integrato negli e-book distribuiti a un panel di «early reader», permette di acquisire dati di lettura cruciali per verificare le potenzialità commerciali dell’opera. E delle conseguenti mire degli editori e dei timori degli autori.
Ma l’analisi di queste tracce non ha la sola funzione d’inquadrare il cliente (o potenziale tale) per fargli «un’offerta che non può rifiutare» perché millimetricamente modellata sui suoi comportamenti e sulle implicite richieste manifestate dalle sue azioni in rete.
Qualche giorno fa,
lavoce.info riportava l’interessante caso di una società tedesca di e-commerce nel settore dell’arredamento che ha pensato di
usare le tracce digitali lasciate dai suoi clienti per valutarne l’affidabilità creditizia, affiancandole ai tradizionali strumenti di
scoring basati su variabili socio-economiche e giudiziarie. E questo perché l'azienda incorre in un rischio di credito abbastanza alto: sia incassando dai propri clienti solo dopo che questi hanno ricevuto la merce, sia perché spesso offre loro ulteriori dilazioni di pagamento.
L’esperimento è stato condotto su 250 mila transazioni e non si è concentrato sull’analisi di informazioni private, piuttosto di dati oggettivi come «la tipologia dello strumento e del sistema operativo con il quale viene trasmesso l’ordine, il tipo di email utilizzato o l’ora alla quale viene trasmesso».
I risultati sono stati sorprendenti. L’analisi delle informazioni disponibili, per esempio, ha mostrato la forte correlazione esistente tra il device utilizzato per finalizzare l’ordine e il tasso di insolvenza del cliente: «In media gli ordini che arrivano attraverso un telefono cellulare sono tre volte più rischiosi di quelli trasmessi attraverso un desktop e due volte più rischiosi rispetto a quelli inviati attraverso un tablet». Interessante anche l’incidenza del sistema operativo: in cima alla classifica dei pagatori più affidabili ci sono gli utenti Mac, seguiti da chi utilizza un dispositivo Windows e iOS. In coda il popolare Android.
Anche l’indirizzo mail fornito dall’utente al momento della registrazione al servizio può diventare un indicatore del suo merito creditizio. Nel caso dell’e-commerce tedesco, l’esperimento ha mostrato che chi dispone di una mailbox T-Online (un servizio a pagamento offerto dall’operatore Telekom) ha tassi d’insolvenza pari a un quarto di quelli manifestati da chi si serve della casella Yahoo, gratuita e anche piuttosto risalente. In fondo alla scala dell’affidabilità anche Gmail e Hotmail.
E poi ci sono altri micro segnali a suggerire che si è in presenza di un ordine che verrà saldato con meno probabilità degli altri: l’orario inconsueto dell’acquisto (i clienti nottambuli sono in assoluto i più inaffidabili), errori grammaticali nelle comunicazioni mail con l’assistenza clienti, accesso alla piattaforma per il tramite di un annuncio pubblicitario su un altro sito web.
Cosa c’entra questo con l’editoria? Probabilmente poco. Ma in un’epoca – peraltro iniziata da un pezzo – in cui il digitale viene rappresentato come la grande sfida e la grande opportunità, vale la pena cercare di cogliere quest’opportunità anche con sguardo laterale. E servirsene, magari, per trovare soluzioni nuove a vecchi problemi.
Dal 2010 mi occupo della creazione di contenuti digitali, dal 2015 lo faccio in AIE dove oggi coordino il Giornale della libreria, testata web e periodico in carta. Laureata in Relazioni internazionali e specializzata in Comunicazione pubblica alla Luiss Guido Carli di Roma, ho conseguito il master in Editoria di Unimi, AIE e Fondazione Mondadori. Molti dei miei interessi coincidono con i miei ambiti di ricerca e di lavoro: editoria, libri, podcast, narrazioni su più piattaforme e cultura digitale. La mia cosa preferita è il mare.
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