Le biblioteche americane sono agitate da correnti opposte: da un lato i cittadini le ritengono importanti centri d’informazione e di aggregazione, dall’altro, i dati del Pew Research Center degli ultimi tre anni mostrano una decrescita nel numero di visitatori che, sebbene non possa essere interpretata come un trend stabile, lascia comunque a chiedersi quale sia il posto occupato dall’istituzione biblioteca nell’ecosistema societario statunitense e a quali trasformazioni debba aprirsi per preservarsi dall’obsolescenza. Un recente studio del Pew ha cercato di comporre queste istanze contrapposte in una prospettiva unica, mettendo in luce rilievi interessanti che conducono a considerazioni più ampie, rilevanti anche per il settore editoriale.
Se, da un lato, alcune tendenze emergevano già nitidamente dal viaggio nelle librerie indipendenti americane condotto da Elena Refraschini su queste pagine e su quelle, cartacee, del Giornale della Libreria, c’è da tener conto del fatto che anche le librerie indipendenti di casa nostra stanno manifestando tendenze importanti al radicamento territoriale, costituendosi sempre più come luoghi nevralgici del fermento culturale, dell’aggregazione e dell’affermazione identitaria all’interno delle nostre città, dei nostri paesi e dei nostri quartieri.
Tornando ai dati Pew, la gran parte dei cittadini intervistati riconosce le biblioteche come luoghi complementari all’istruzione scolastica, centri importanti per l’aggiornamento professionale e la ricerca di un lavoro, strutture indispensabili per familiarizzare con le nuove tecnologie e i device di ultima generazione. Inoltre, il 65% dei cittadini americani ultra sedicenni ritiene che la chiusura della biblioteca di riferimento avrebbe un impatto significativo sulla propria vita e su quella della propria comunità di appartenenza. E la percentuale cresce significativamente quando la domanda viene rivolta ai cittadini appartenenti alle fasce di reddito più basse e a quelli provenienti da minoranze etniche, come gli ispanici e gli afroamericani. Accanto alla richiesta di programmi d’istruzione gratuita complementari a quelli scolastici e di alfabetizzazione digitale per i bambini e per gli anziani, il pubblico chiede alle biblioteche anche servizi specifici per segmenti particolari della popolazione: come i veterani di guerra, i militari e gli immigrati. A fare da contraltare a queste istanze manifestate da una porzione significativa della popolazione – che lascerebbero intendere che le biblioteche vengono percepite e vissute come assolutamente centrali nella vita e nelle abitudini dei cittadini – l’indagine del Pew evidenzia che, mentre nel 2012 era il 53% della popolazione ultra sedicenne a essersi recata in biblioteca almeno una volta nei precedenti dodici mesi, attualmente la percentuale è scesa al 46. Anche il numero di quanti hanno visitato il sito della biblioteca almeno una volta nell’anno precedente è sceso: passando dal 30% del 2013 al 22% attuale; e persino l’utilizzo degli equipaggiamenti tecnologici e informatici messi a disposizione dalla biblioteca si è contratto, registrando, dal 2012, un calo di oltre il 4%.
Una tendenza opposta, però, viene registrata per quanto riguarda l’accesso in mobilità ai contenuti: il 50% di quanti hanno visitato il sito della propria biblioteca almeno una volta nel corso del 2014, lo ha fatto attraverso dispositivi mobili come tablet o smartphone, contro il 39% del 2012.
In questi dati apparentemente contrastanti, la ricerca del Pew legge una richiesta di solidità e d’innovazione allo stesso tempo. Se, da un lato, il ruolo tradizionale della biblioteca viene riconosciuto e ribadito nelle richieste dei cittadini, è pure evidente che il calo di visitatori corrisponda, con ogni probabilità, a un’esigenza d’innovazione per quanto riguarda il prestito digitale e le informazioni accessibili on line e in mobilità.
La prima domanda che viene da porsi è quindi: i bibliotecari che fine devono far fare ai libri? Oltre la maggior predisposizione alla consultazione in digitale e in mobilità evidenziata dalla ricerca, c’è da considerare che il 30% degli intervistati ritiene che le biblioteche debbano assolutamente liberare dai libri spazi da aprire, invece, alla formazione, all’incontro, all’accoglienza e agli eventi culturali; e un ulteriore 40% ritiene che dovrebbero «probabilmente» farlo. Peraltro, percentuali simili ritengono che le biblioteche dovrebbero disporre di più spazi per la lettura e il relax.
Dai dati raccolti e condivisi dal Pew, sembra quasi che le biblioteche, nell’immaginario dei cittadini americani, abbiano più significato come centri di aggregazione e di riconoscimento identitario e sociale – specialmente in riferimento alle sotto-comunità etniche e culturali – piuttosto che come luogo deputato alla lettura e alla consultazione dei libri, attività che invece potrebbero essere più proficuamente trasferite in digitale.
La seconda e più radicale domanda che questo studio ispira – spostandosi dall’orizzonte delle biblioteche americane a quello, più vasto, dell’editoria – è: dove finirà il libro?
Se le biblioteche diventano istituzioni di prossimità al cittadino deputate all’istruzione e alla condivisione, anche le librerie – indipendenti quanto di catena – si misurano con l’esigenza di offrire al cliente altro rispetto al libro, sia che si tratti di non book che d’incontri, corsi, esperienze.
Dove verranno esposti i libri? Dove l’assortimento della libreria – e il catalogo dell’editore – troveranno uno spazio sufficientemente visibile e appropriato per comunicare il progetto editoriale sotteso ai titoli e per rendersi desiderabili?
La risposta più semplice potrebbe essere: i libri finiranno on line, lì verrano esposti, lì verranno presi in prestito e (anche) lì verranno comprati. Probabilmente, però, anche le vetrine degli e-commerce stanno conoscendo delle trasformazioni significative. E la logica dell’esposizione, come sta manifestando tentennamenti nel mondo fisico – da cui gli store on line l’hanno mutuata – li sta manifestando anche in quello digitale. Le considerazioni di Matteo Scurati sul restyling di Bookrepublic, ad esempio, si concentrano sull’e book come commodity che, per differenziarsi dalla concorrenza, deve attivare un processo di curation pertinente e originale: «il punto non è mostrare il catalogo, il punto è dimostrare di conoscere il catalogo».
Per approfondire:
I segreti del successo delle librerie indipendenti americane. Intervista a Michael Reynolds
I segreti del successo delle librerie indipendenti americane: il caso della libreria Book Passage
I segreti del successo delle librerie indipendenti americane: il caso della libreria Green Apple
La recessione è finita per le librerie indipendenti americane: il caso di Boulder Bookstore
Rifioriscono le librerie indipendenti americane: il caso di Powell’s Books
La rinascita delle librerie indipendenti americane: il caso di Politics&Prose, Washington DC
Dal 2010 mi occupo della creazione di contenuti digitali, dal 2015 lo faccio in AIE dove oggi sono responsabile del contenuto editoriale del Giornale della Libreria, testata web e periodico in carta. Laureata in Relazioni internazionali e specializzata in Comunicazione pubblica alla Luiss Guido Carli di Roma, ho conseguito il master in Editoria di Unimi, AIE e Fondazione Mondadori. Molti dei miei interessi coincidono con i miei ambiti di ricerca e di lavoro: editoria, libri, podcast, narrazioni su più piattaforme e cultura digitale. La mia cosa preferita è il mare.
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