Anche con il 62% di lettori di libri (dato 2019 presentato a Più libri più liberi durante l’incontro Il Natale è alle porte: come è andato il mercato trade nel 2019), o il 65% di lettori nel complesso – se si considerano anche e-book e audiolibri –, l’Italia continua a classificarsi in coda alle classifiche europee sulla lettura. Soprattutto se pensiamo che il 53% dei nostri lettori legge al massimo 1-3 libri nel corso di un anno. Insomma, abbiamo pochi lettori e la metà di costoro sono occasionali.
 
Dietro questi numeri ci sono certo ragioni storiche che è superfluo ricordare. Ci sono però anche ragioni legate all’incapacità di fidelizzare alla lettura le generazioni più giovani, e non si tratta certo di un fenomeno soltanto odierno, legato all’uso degli smartphone e dei social. Le fasce giovani della popolazione leggono da sempre più della media della popolazione, negli anni Ottanta così come nel 2019: 90% tra i 15-17enni; 84% tra i 18-24enni. Il problema è che queste percentuali, nonostante i processi di scolarizzazione avvenuti, solo in minima parte si sono tradotte in un’«onda lunga» che ne caratterizzi anche l’età adulta.
 
Le ragioni sono molte. Una di queste la possiamo individuare nelle precarie condizioni di salute in cui versano le biblioteche scolastiche. L’indagine che l’Associazione Italiana Editori, in collaborazione con MIUR, Cepell e AIB, ha condotto nel novembre di quest’anno mostra in tutta la sua drammaticità la situazione che da quando è stata condotta l’ultima indagine analoga, nel 2011, non è praticamente migliorata. Eppure i ragazzi in biblioteca ci vanno. E, anzi, lo fanno più degli adulti: 7% la media nazionale contro il 15,4% (il doppio) dei 6-10enni, il 14,1% degli 11-14enni, il 10,6% dei 15-17enni (FONTE: Istat 2017; popolazione 6+). Ma non si tratta delle biblioteche scolastiche, quanto delle biblioteche di pubblica lettura.
 
L’Osservatorio sulla lettura e sui consumi culturali di AIE, mettendo a confronto la frequentazione della biblioteca pubblica con quella scolastica tra gli 0-14enni (dato 2018), mostra come chi «frequenta la biblioteca scolastica» (il 26%, uno studente su quattro) ha maggiori possibilità di diventare forte lettore (21% vs 3%), rivendicare il «piacere della lettura» (47% vs 23%), e mostra una maggiore autonomia nel «leggere esclusivamente da solo» (54% vs 40%).
 
Eppure ci deve essere una ragione se quel 26% di ragazzi che frequenta la biblioteca scolastica solamente per il 6% dichiara di frequentarla «almeno una volta ogni 15 giorni», e un altro 5% «una volta al mese o poco più».
 
E la ragione è la condizione in cui versano queste fondamentali infrastrutture per la lettura. Sarà pur vero, infatti, che l’85% delle scuole dichiara di avere una biblioteca scolastica (al Sud la percentuale scende all’81%), ma il patrimonio librario posseduto – cioè la ragione stessa per cui si frequenta una biblioteca – non raggiunge i 3.800 titoli, ovvero 5,8 libri per studente. E l’impressione generale è che non siano nemmeno titoli particolarmente recenti, se pensiamo che la spesa media per scuola per ampliare il patrimonio librario si riduce a 410 euro. La spesa media per il funzionamento è di 1,12 euro a studente; per l’acquisto di libri nuovi di 0,40 centesimi a studente, ovvero 0,2 libri nuovi entrati in biblioteca per acquisto e donazione.
 
Va peraltro considerato il «volontariato», che molto spesso è ciò che le fa funzionare. Fatto pari a 100 il numero dei volumi entrati in biblioteca solo il 32% vi entra per acquisto, mentre ben il 47% vengono «ricevuti in omaggio» e il restante 21% «grazie al contributo delle famiglie». Allo stesso modo, il 53% del personale che fa «funzionare la biblioteca» è composto da studenti affiancati da personale docente, e da genitori o altre figure volontarie, da insegnanti che prestano volontariamente il loro tempo fuori dell’orario di servizio.
 
L’indagine mette in luce un altro aspetto non meno preoccupante. Il primo dieci per cento delle scuole dove studia l’8% degli studenti spende in media per il funzionamento della biblioteca soltanto 77 euro. L’ultimo dieci per cento spende il 65% della spesa complessiva, offrendo al 14% dei ragazzi una biblioteca che ha un budget medio di quasi 12 mila euro, che si traduce in più libri, più posti a sedere, più iniziative. Insomma, si diventa lettori per caso, a seconda della fortuna di nascere dove c’è una scuola che ha un budget di 12 mila euro invece che in una dove è solo di 77.
 
Eppure i segnali positivi ci sono. Se nel 2011 il 64% delle scuole indicava come finalità principale della biblioteca scolastica la promozione della lettura, e il 41% il prestito a casa dei libri, nel 2019 questi valori salgono rispettivamente all’83% e al 66%. C’è quindi una maggiore consapevolezza degli insegnanti e della scuola nel ruolo di promozione della lettura come finalità principale della scuola, ma purtroppo mancano le risorse.
 
L’altro aspetto positivo è legato a #ioleggoperché. Il 47% delle biblioteche scolastiche dichiara infatti di avere attività di cooperazione con l’iniziativa di promozione della lettura promossa dall’Associazione Italiana Editori da quattro anni. #ioleggoperché ha favorito il potenziamento del 45% delle biblioteche scolastiche italiane e l’apertura di 131 nuove biblioteche.
 
È evidente però che da questa situazione non si esce con opere di volontariato quanto con una visione diversa del ruolo che la biblioteca scolastica ha nell’economia del funzionamento della scuola. In un certo senso, la scuola è una biblioteca – anche con il prestito digitale ovviamente: il 13% afferma di offrirlo ai suoi studenti – con le aule attorno. Immagine forse un po’ forzata, ma non lontana dalla verità in una società della conoscenza.


Le slide relative all’incontro Presentazione dell'indagine AIE 2019 sulle biblioteche scolastiche che si è svolto il 5 dicembre a Più libri più liberi sono disponibili nella sezione Presentazione del sito.

L'autore: Giovanni Peresson

Mi sono sempre occupato di questo mondo. Di editori piccoli e grandi, di libri, di librerie, e di lettori. Spesso anche di quello che stava ai loro confini e a volte anche molto oltre. Di relazioni tra imprese come tra clienti: di chi dava valore a cosa. Di come i valori cambiavano in questi scambi. Perché e come si compra. Perché si entra proprio in quel negozio e si compra proprio quel libro. Del modo e dei luoghi del leggere. Se quello di oggi è ancora «leggere». Di come le liturgie cambiano rimanendo uguali, di come rimanendo uguali sono cambiate. Ormai ho raggiunto l'età per voltarmi indietro e vedere cosa è mutato. Cosa fare da grande non l'ho ancora perfettamente deciso. Diciamo che ho qualche idea. Viaggiare, anche se adesso è un po' complicato. Intanto continuo a dirigere l'Ufficio studi dell'Associazione editori pensando che il Giornale della libreria ne sia parte, perché credo sempre meno nei numeri e più alle storie che si possono raccontare dalle pagine di un periodico e nell'antropologia dei comportamenti che si possono osservare.

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