
«Negli ultimi anni la comunicazione di tipo accademico (riviste e monografie), è cambiata moltissimo per un insieme di circostanze sia interne che esterne. A partire dalla fine degli anni Novanta, infatti, i grandi editori internazionali hanno iniziato a offrire una serie di servizi digitali che hanno abituato il mondo accademico all'uso di questo tipo di risorse. Dieci anni dopo il digitale è una sorta di prerequisito:
se vuoi essere editore scientifico accademico devi possedere un'offerta digitale» così esordisce
Andrea Angiolini, direttore editoriale della Società editrice Il Mulino che parteciperà il 17-18 ottobre prossimo a Roma al convegno
Università, trasferimento della conoscenza e diritto d’autore dell’era digitale che abbiamo già segnalato
qui.
«I ricercatori e gli studenti hanno iniziato ad abituarsi a questo nuovo modo di fare ricerca e essere on line, ha iniziato a rivelarsi un modo più comodo e sicuro per farsi trovare dall'utenza. Il saldarsi di queste due condizioni ha portato a
ridefinire il perimetro entro cui gli editori devono riuscire a collocarsi se vogliono continuare a essere tali».
Capire quali sono i servizi richiesti dagli studenti e dagli studiosi, unendo alla pubblicazione dei contenuti anche l'offerta di servizi, è quindi un passo fondamentale perché l'editore universitario possa studiare e formulare la propria offerta a valore aggiunto.
«Per rispondere a queste esigenze però, l'editore ha bisogno di
strumenti nuovi. In Italia questo, seppure con ritardo rispetto a quanto verificatosi negli altri paesi, è accaduto e sta accadendo e non mancano esempi di
integrazione di contenuti e servizi nei diversi segmenti da quello professionale a quello accademico fino al trade. Di certo il terreno resta nuovo e servono
competenze professionali e mix di prodotti e servizi innovativi».
Attenzione a ciò che accade sul mercato internazionale e al livello di servizi offerti, ripensare alle professionalità tradizionali che devono sempre più saper coniugare arte redazionale e competenze digitali, marketing e metadati, sensibilità umanistica e conoscenze contrattuali, sono diventati aspetti imprescindibili per chi si trova oggi a fare editoria accademica.
«Non esiste più una rigida divisione delle responsabilità,
il digitale sta creando nuove figure lavorative ma sta anche aprendo nuovi scenari, penso ad esempio ai
problemi giuridico legali legati alle licenze d'uso, o alla negoziazione di contratti con clausole spesso problematiche, fino al tema del
digital lending che sicuramente è un'opportunità anche se in ambito accademico mancano ancora modelli e strumenti universalmente riconosciuti».
Un problema che forse può essere ricondotto, in linea generale, al tema più vasto che oppone da un lato le
ragioni del possesso e dall'altro
quelle dell'accesso. L'offerta digitale dell'editoria accademica vede infatti confrontarsi modelli di business diversi, dall'open access al cosiddetto
big deal, ma infondo riconducibili alla
dicotomia tra il possesso del contenuto e l'accesso permanete ad esso.
«Entrambe le soluzioni hanno insite in loro
opportunità e limitazioni. Se l'editore non cede un bene ma solo l'accesso ad esso, l'utente vedrà inibite una serie di attività ma, d'altro canto, avrà la possibilità di godere di aggiornamenti continui di quel contenuto da parte dell'editore, per esempio. Al momento
non esiste un modo giusto e uno sbagliato, piuttosto le ragioni vanno viste in uno scenario in continua trasformazione: reclamarne una piuttosto che un'altra potrebbe essere un grave errore. Quello che vedo al momento è che a fronte di un'offerta che è essenzialmente di accesso, cresce la domanda di possesso, ma è un
panorama fluido che è importante seguire e approfondire con continuità».