L’editoria universitaria, generalmente identificata come editoria accademico professionale, in quanto dall’elaborazione dei risultati della ricerca e dei contenuti della didattica derivano gran parte dei testi
per le professioni, rappresenta oggi un fatturato di 950 milioni di euro con 7.500 addetti nelle case editrici, che salgono a 22.000 se si considera anche l’indotto. Di questi 950 milioni di euro, solo 300 fanno capo all’editoria universitaria vera e propria, cioè per la didattica e la ricerca.
Perché una somma quasi eguale è il fatturato delle fotocopie illegali, fenomeno storico e in continua crescita, se si considera anche la pirateria digitale. Il che corrisponde a 5.000 posti di lavoro e 500 librerie in meno ,specie nei centri medio-piccoli del Mezzogiorno.
Questi pochi concetti e numeri portano direttamente al cuore dell’editoria universitaria. Che è il più bel mestiere del mondo, perché significa essere fonte e produzione di cultura finalizzata a creare e sviluppare competenze per se stessi, sì, ma in funzione della società e del futuro collettivo, quindi con grande capacità di coinvolgimento e gratificazione. Ma è anche il più sofferto, perché ai problemi generali dell’editoria (distribuzione, marginalizzazione internazionale, comportamenti di lettura, nuove modalità di lavoro imposte dalle tecnologie, conseguenti nuovi modelli di business ecc.) aggiunge problemi propri, legati alla specificità degli interlocutori e del mercato.