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Lettura

Se smettessimo di stare sui social leggeremmo davvero di più?

di Alessandra Rotondo notizia del 29 dicembre 2025

C’è un’idea che ritorna spesso quando si parla di lettura e digitale: se passassimo meno tempo sui social network, torneremmo automaticamente a leggere più libri. È una convinzione diffusa e rassicurante, che suggerisce una relazione diretta tra disintossicazione dallo smartphone e recupero della lettura profonda. Ma l’esperienza concreta e i dati raccontano una storia meno lineare.

A metterla in discussione è Jay Caspian Kang, in un lungo articolo pubblicato dal New Yorker, che parte da un esperimento personale. Nell’estate del 2025 decide di abbandonare quasi del tutto i social network, con un obiettivo pratico – finire di scrivere un libro – e una speranza più vaga: tornare a leggere di più. Il primo risultato arriva, il secondo no. Consegna il lavoro, ma i libri che immagina di recuperare non occupano lo spazio lasciato libero dallo scrolling continuo: semplicemente, non accade.

Questo scarto tra aspettativa e realtà apre una riflessione più ampia, che Kang intreccia con alcuni dati ormai noti ma sempre allarmanti. Negli Stati Uniti, la quota di adulti che legge almeno un libro all’anno è scesa sotto il 50%, mentre tra bambini e adolescenti la lettura quotidiana nel tempo libero è ai minimi storici. Il quadro sembra confermare una diagnosi diffusa: i social e i contenuti brevi avrebbero eroso la capacità di concentrazione necessaria per affrontare i libri.

Eppure, osserva Kang, non è mai esistita un’epoca in cui le persone abbiano letto così tante parole come oggi. Messaggi, post, commenti, newsletter, articoli: la lettura è continua, frammentata, spesso poco «nobile», ma pervasiva. Il problema, allora, potrebbe non essere semplicemente quanto leggiamo, ma come e perché leggiamo.

È uno spunto che risuona in modo particolare se lo si mette in relazione con ciò che sta accadendo in Italia. I nuovi dati dell’Osservatorio AIE sulla lettura raccontano infatti un quadro apparentemente positivo: nel 2025 cresce il numero di persone che dichiarano di aver letto almeno un libro negli ultimi dodici mesi. I lettori tra i 15 e i 74 anni raggiungono quota 33,9 milioni, pari al 76% della popolazione, con un aumento di quattro punti percentuali rispetto al 2024. La crescita riguarda tutte le fasce d’età ed è particolarmente marcata tra i più giovani.

Eppure, sotto questa espansione della platea, si nasconde una dinamica più ambivalente. Si legge meno spesso. La quota di chi apre un libro almeno una volta a settimana scende dal 72% del 2022 al 61% del 2025, mentre aumentano i lettori occasionali. Cala anche il tempo medio settimanale dedicato alla lettura su carta, che passa da tre ore e trentadue minuti a poco più di tre ore. In altre parole: più persone entrano nella lettura, ma la lettura occupa uno spazio più frammentato e meno centrale nelle loro vite.

E qui entra in gioco una nozione centrale nell’articolo del New Yorker: l’efficienza. I libri, per definizione, sono inefficienti. Richiedono tempo, pazienza, attraversano zone di noia e di attrito cognitivo. L’Internet contemporanea, al contrario, ci allena a esperienze ottimizzate, rapide, su misura. Kang descrive un lettore iper-specializzato che, grazie a forum, podcast e community online, seleziona con grande precisione ciò che legge. Legge forse meno libri, ma quelli più aderenti ai suoi interessi. La domanda che ne deriva è centrale: leggere meno titoli, ma scelti con maggiore consapevolezza, equivale a una perdita culturale o a una trasformazione delle pratiche di lettura?

La risposta non è semplice né univoca, ed è qui che il ragionamento si fa interessante per chi osserva le trasformazioni della lettura. Kang suggerisce che stiamo assistendo non solo a una riduzione quantitativa della lettura di libri, ma a una sua ristrutturazione: meno titoli, più selezionati; meno esplorazione casuale, più specializzazione. Una dinamica che trova una conferma nelle parole della scrittrice e saggista Celine Nguyen, secondo cui i social hanno spesso permesso di scoprire libri e idee che sarebbero rimasti inaccessibili al di fuori di certi contesti sociali e culturali. Reddit, X o TikTok, in questo senso, non sono solo strumenti di distrazione, ma anche dispositivi di scoperta.

Fenomeni come BookTok dimostrano che l’ecosistema digitale può ampliare il pubblico di titoli marginali, fino addirittura a sospingere quegli stessi titoli ai vertici delle classifiche. Ma questo ampliamento ha un costo: l’algoritmo tende a rinforzare gusti e preferenze, creando bolle sempre più impermeabili. La lettura diventa più «intelligente» in termini di efficienza, ma rischia di essere meno spiazzante, meno formativa nel senso forte del termine.

È qui che il recupero delle pratiche collettive e lente può aiutare a restituire valore: i gruppi di lettura in presenza, le discussioni non perfettamente allineate, persino l’esperienza di leggere libri che non ci piacciono del tutto. Non perché siano necessariamente migliori sul piano informativo, ma perché introducono attrito, disaccordo, deviazione. Elementi che l’architettura dei social, orientata da un lato alla polarizzazione, dall’alto all’ottimizzazione e al consenso rapido, tende a ridurre.

La conclusione? Né soluzioni offerte né inviti moralistici a tornare ai libri. Piuttosto, il suggerimento di guardarsi da una semplificazione diffusa: l’idea che basti spegnere il telefono per recuperare automaticamente una relazione più profonda con la lettura. La questione è più strutturale e riguarda i contesti, le comunità, i dispositivi culturali che rendono i libri desiderabili, condivisi, discussi. Non come alternativa nostalgica al digitale, ma come spazio non completamente assorbito dalla logica dell’efficienza.

Per l’editoria la sfida è evidente: non si tratta solo di riportare le persone ai libri, ma di ripensare cosa significa leggere oggi, e quali forme – sociali, fisiche, culturali – possono ancora sottrarre la lettura alla solitudine e all’allineamento del pensiero. Speculari, complementari e perfettamente ottimizzati dalle bolle digitali.

L'autore: Alessandra Rotondo

Dal 2010 mi occupo della creazione di contenuti digitali, dal 2015 lo faccio in AIE dove oggi sono responsabile del contenuto editoriale del Giornale della Libreria, testata web e periodico in carta. Laureata in Relazioni internazionali e specializzata in Comunicazione pubblica alla Luiss Guido Carli di Roma, ho conseguito il master in Editoria di Unimi, AIE e Fondazione Mondadori. Molti dei miei interessi coincidono con i miei ambiti di ricerca e di lavoro: editoria, libri, podcast, narrazioni su più piattaforme e cultura digitale. La mia cosa preferita è il mare.

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