Più della metà (51%) delle autrici e degli autori pubblicati nel Regno Unito ritiene che l’intelligenza artificiale possa, nel tempo, arrivare a sostituire completamente il loro lavoro. Il dato emerge da una ricerca condotta dall’Università di Cambridge e rilanciata dal Guardian, che restituisce un quadro di crescente inquietudine rispetto all’impatto dell’IA generativa sul lavoro creativo, sul mercato editoriale e sulle tutele del diritto d’autore.
Lo studio, realizzato per il Minderoo Centre for Technology and Democracy, ha coinvolto 258 autrici e autori di romanzi e 74 professioniste e professionisti del settore editoriale – tra editor, agenti e figure della filiera – e mostra come il timore non sia solo prospettico. Il 39% delle persone intervistate dichiara infatti un calo dei propri redditi attribuibile alla diffusione di contenuti generati da IA, mentre la maggioranza prevede un’ulteriore contrazione delle entrate nei prossimi anni. Molti segnalano inoltre che le proprie opere sarebbero già state utilizzate senza consenso per l’addestramento di modelli linguistici.
Secondo Clementine Collett, autrice del rapporto, il rischio è che la narrativa prodotta da sistemi addestrati su grandi quantità di testi finisca per indebolire il valore stesso della scrittura e per competere direttamente con il lavoro umano, soprattutto in un contesto editoriale sempre più orientato all’efficienza economica.
Dal punto di vista dei generi, la ricerca individua nel romance il segmento più esposto al rischio di sostituzione, seguito da thriller e crime. Le persone intervistate descrivono un mercato sempre più affollato di titoli generati da IA, con casi di libri comparsi online attribuiti ad autrici e autori che non li hanno scritti e recensioni apparentemente automatizzate, caratterizzate da errori e incongruenze narrative. Tutti elementi che possono incidere negativamente sulla reputazione e sulla visibilità commerciale.
Questa dinamica si inserisce in un processo più ampio che sta già ridefinendo ruoli, competenze e gerarchie lungo tutta la filiera del libro. Non solo la scrittura creativa, ma anche le professioni editoriali intermedie – dalla traduzione alla redazione, fino alla progettazione visiva – si trovano a confrontarsi con una progressiva ridefinizione del perimetro del proprio lavoro, in un equilibrio ancora instabile tra automazione, supporto tecnologico e perdita di centralità.
Il Guardian segnala inoltre come piattaforme di vendita online come Amazon siano percepite da molte osservatrici e molti osservatori come spazi scarsamente regolati, in cui i contenuti generati da IA operano in una sorta di far west normativo, con strumenti di controllo e trasparenza ancora insufficienti.
Le posizioni di scrittrici e scrittori non risultano però completamente polarizzate. Circa un terzo dichiara di utilizzare già strumenti di IA per attività di supporto – come la ricerca di informazioni – ma resta quasi unanime la contrarietà all’uso dell’intelligenza artificiale per la scrittura narrativa vera e propria, anche parziale, e in molti casi per le fasi di editing.
Al centro del dibattito si colloca poi il tema del copyright. Autrici e autori chiedono consenso informato, remunerazione per l’utilizzo delle opere nei processi di addestramento e maggiore trasparenza da parte delle aziende tecnologiche – insieme a un intervento più chiaro delle istituzioni. Nel Regno Unito, particolare critica ha suscitato la proposta del sistema di «rights reservation», che consentirebbe alle imprese di IA di utilizzare testi protetti salvo esplicito opt-out da parte dei titolari dei diritti.
Il quadro si inserisce in una fase di forte tensione tra settore editoriale e aziende tecnologiche. Come ricorda il Guardian, nel settembre scorso Anthropic ha accettato di versare 1,5 miliardi di dollari a un gruppo di autrici e autori che l’avevano accusata di aver utilizzato copie pirata delle loro opere per addestrare il proprio chatbot.
La percezione della minaccia, tuttavia, non riguarda soltanto il piano economico. A emergere è anche una questione più profonda, che tocca il significato stesso dell’atto narrativo: la distanza tra una scrittura che simula e una scrittura che interpreta, che restituisce esperienza, ambiguità, sguardo. Una distinzione che rimanda direttamente alla riflessione sulla capacità dell’intelligenza artificiale di produrre testi formalmente convincenti senza possedere una reale comprensione di ciò che racconta, e quindi senza quella dimensione di senso che fonda la relazione tra chi scrive e chi legge.
A questo proposito, timore che in particolare traspare dallo studio è che la diffusione di narrativa generata da IA possa indebolire il legame profondo tra chi scrive e chi legge, in un momento in cui la lettura è già in difficoltà, soprattutto tra le persone più giovani. Nel Regno Unito solo un terzo dei bambini e delle bambine dichiara di leggere per piacere nel tempo libero: è il dato più basso degli ultimi vent’anni.
Dal 2010 mi occupo della creazione di contenuti digitali, dal 2015 lo faccio in AIE dove oggi sono responsabile del contenuto editoriale del Giornale della Libreria, testata web e periodico in carta. Laureata in Relazioni internazionali e specializzata in Comunicazione pubblica alla Luiss Guido Carli di Roma, ho conseguito il master in Editoria di Unimi, AIE e Fondazione Mondadori. Molti dei miei interessi coincidono con i miei ambiti di ricerca e di lavoro: editoria, libri, podcast, narrazioni su più piattaforme e cultura digitale. La mia cosa preferita è il mare.
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