Dal 2010 in Argentina è in vigore una legge (la
Resolución 453/2010) che
limita l’importazione nel Paese di libri provenienti da editorie estere e anche di una serie di prodotti (come carta, inchiostri e altri materiali) connessi alla produzione libraria.
Questo provvedimento, preso nell’ottica autarchica di proteggere l’economia argentina dalla concorrenza dei più floridi e competitivi mercati stranieri, si è dimostrata – nel corso degli anni –
una misura fortemente penalizzante. Sicuramente per gli editori stranieri (che hanno visto comprimersi il loro mercato globale) e per i lettori che, dovendosi servire da un «offerente unico», hanno perso in varietà, possibilità di scelta e accesso alla bibliodiversità; ma anche per gli editori autoctoni, da un lato chiamati a sobbarcarsi un carico di lavoro – quello per la traduzione e la pubblicazione in patria di opere costose e complesse – che spesso non sono in grado di sostenere, dall’altro
afflitti da una sempre crescente perdita di competitività, determinata dal concorrere – di fatto – in un mercato chiuso.
Qualche giorno fa, però, il Ministro della cultura argentino
ha lanciato l’hashtag #libroslibres, per diffondere capillarmente le modifiche impresse alla legge 453/2010 dalla
Resolución 1/2016, che attenua di molto le limitazioni precedenti, aprendo il mercato argentino dei prodotti editoriali ai concorrenti stranieri.
La soluzione è motivata, da un lato, dal
crollo dell’importazione che il precedente provvedimento ha determinato (- 65% dal 2011 al 2014), dall’altro, dall’esistenza di una legge fondamentale del Governo argentino (
la 25.446) che riconosce nei libri e nella lettura strumenti indispensabili per favorire l’arricchimento e la diffusione della cultura, implicitamente violata dalle restrizioni imposte al settore.
A quanti obiettano che ciascun prodotto importato potrebbe essere agevolmente sostituito da uno «locale»,
Trinidad Vergara – presidente della Cámara Argentina de Publicaciones (l’associazione di categoria degli editori argentini) – risponde che è improbabile applicare questo principio all’editoria:
«pretendere di sostituire un libro con un altro è altrettanto assurdo che pretendere di sostituire una persona con un’altra».
Dal 2010 mi occupo della creazione di contenuti digitali, dal 2015 lo faccio in AIE dove oggi coordino il Giornale della libreria, testata web e periodico in carta. Laureata in Relazioni internazionali e specializzata in Comunicazione pubblica alla Luiss Guido Carli di Roma, ho conseguito il master in Editoria di Unimi, AIE e Fondazione Mondadori. Molti dei miei interessi coincidono con i miei ambiti di ricerca e di lavoro: editoria, libri, podcast, narrazioni su più piattaforme e cultura digitale. La mia cosa preferita è il mare.
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