528 milioni di euro. Tanto vale, ogni anno, la «pirateria» editoriale nel nostro Paese, tra carta (fotocopie e simili) e digitale (e-book e banche dati del mondo professionale). Rappresenta quasi un quarto del mercato legale: il 23% nel 2019. È il dato più eclatante che emerge da un’indagine condotta per conto di AIE da Ipsos su un campione rappresentativo della popolazione italiana con più di 15 anni di età, e con sovracampionamenti in alcuni cluster di popolazione: università, mondo professionale.

Questi 528 milioni si ripartiscono per il
61% nel mercato della varia (324 milioni), per il
20% in quello della manualistica per la didattica universitaria (105 milioni), e per il restante
19% (99 milioni)
in quello professionale.
Dati che assumono un altro significato quando li si considera dal punto di vista della penetrazione sui singoli universi di popolazione interessati: si va dal 36% tra i lettori di varia, all’80% degli universitari, a ben il 61% dei liberi professionisti. Tra costoro – al domandargli se sapevano che «la legge italiana punisce severamente ogni atto illecito» – l’86% ha dato risposta affermativa, contro il 77% della media nazionale.
Di questi 528 milioni di euro, 247 si traducono in minori vendite di libri per le librerie fisiche, 239 per gli store online, effetto di un mix tra minori vendite di libri di carta e di e-book.

247 milioni di perdita annua di vendite in libreria che potrebbero
tradursi in risorse economiche per far funzionare (tenere aperte e/o aprire) circa 120 librerie (ipotesi di fatturato a prezzo di copertina per esercizio commerciale di 600 mila euro/anno) e dar lavoro annualmente ad
almeno 300 potenziali librai (ipotesi 2,5 per esercizio commerciale).
Tra i fattori che hanno portato in questi anni alla chiusura delle librerie (secondo Istat, un saldo negativo di 245, tra 2012 e 2017, per esercizi commerciali con codice Ateco 4761: commercio al dettaglio di libri in esercizi specializzati) oltre allo spostarsi di molte dalla conduzione familiare alla formula del franchising, dobbiamo considerare anche questo della pirateria.
Mi sono sempre occupato di questo mondo. Di editori piccoli e grandi, di libri, di librerie, e di lettori. Spesso anche di quello che stava ai loro confini e a volte anche molto oltre. Di relazioni tra imprese come tra clienti: di chi dava valore a cosa. Di come i valori cambiavano in questi scambi. Perché e come si compra. Perché si entra proprio in quel negozio e si compra proprio quel libro. Del modo e dei luoghi del leggere. Se quello di oggi è ancora «leggere». Di come le liturgie cambiano rimanendo uguali, di come rimanendo uguali sono cambiate. Ormai ho raggiunto l'età per voltarmi indietro e vedere cosa è mutato. Cosa fare da grande non l'ho ancora perfettamente deciso. Diciamo che ho qualche idea. Viaggiare, anche se adesso è un po' complicato. Intanto continuo a dirigere l'Ufficio studi dell'Associazione editori pensando che il Giornale della libreria ne sia parte, perché credo sempre meno nei numeri e più alle storie che si possono raccontare dalle pagine di un periodico e nell'antropologia dei comportamenti che si possono osservare.
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