Come è noto, infatti i libri, in vendita sullo nello store di Amazon sono venduti in un formato proprietario e quindi non leggibili da altri dispositivi non marchiati Amazon, a ciò andrebbero a sommarsi i contratti per la vendita degli e-book stipulati dai sei editori con Amazon e non con gli store indipendenti (collettivi o di un unica libreria). Motivo questo, secondo le tre librerie che hanno intrapreso l’azione (Book House di Stuyvesant Plaza ad Albany, Fiction Addiction di Greenville e Posman Books di New York City), delle difficoltà degli store indipendenti ad entrare nel mercato degli e-book.
Per capire il senso dell’affermazione dobbiamo fare un passo indietro. A differenza di quanto accade in Italia, le librerie americane da tempo hanno abbracciato la strada della vendita di e-book attraverso alcuni accordi di settore (prima con Google e più recentemente con Kobo) che hanno permesso ai librai di gestirla direttamente tramite i propri siti.
Dire che la colpa del fatto che questa strada non abbia raggiunto i risultati sperati è di Amazon e del DRM non tiene conto di alcuni dati in qualche modo strutturali del sistema distributivo americano: come il fatto che Amazon e gli altri player possano contare su una solida infrastruttura per vendere e-book, mentre le librerie indipendenti, anche con le partnership di Google e Kobo, non possono dire altrettanto.
Come si ricorderà, fra l’altro, le sei più grandi case editrici americane, a parte Random House, sono state recentemente citate in giudizio dal Dipartimento di Giustizia americano con l’accusa di collusione con Apple nella determinazione dei prezzi degli e-book. Hachette, HarperCollins e Simon & Schuster avevano accettato subito un settlement con il DoJ, Penguin era capitolata a dicembre, prima della sua fusione con Random House, e Macmillan, pochi giorni fa, citando l'elevato rischio finanziario associato alla possibilità di perdere in tribunale.