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Lettura

Dammi tre parole: lettura ed emozione

di Giovanni Peresson notizia del 9 marzo 2018

Quali sono le parole che un campione rappresentativo della popolazione italiana – fatta di lettori e non lettori – associa alla parola «lettura»? È una domanda molto semplice a cui l’intervistato poteva rispondere dando liberamente tre indicazioni, posta nell’ambito dell’Osservatorio sulla lettura e i consumi culturali (Olcc) realizzato da Aie e condotto da Pepe Reserch. Una domanda che permette di scandagliare (e poi monitorare nelle rilevazioni successive) quelli che sono i «vissuti» della lettura, sia tra chi legge libri, e-book e audiolibri, sia tra chi non legge affatto. Oggi, a Tempo di libri, sono stati presentati i primi risultati di questa rilevazione: puoi consultare qui le slide proiettate in fiera.
 
Perché la lettura sta cambiando. Lo rivelano i numeri: nel momento in cui si pone la domanda più diretta e generica – se si è letto «almeno un libro» nei 12 mesi precedenti – risponde affermativamente secondo Istat il 40-42% degli italiani 6+. Ma se si chiede di considerare altri generi di lettura: i manuali, la romantic fiction, le guide, i libri a fumetti… già per Istat – negli stessi anni – questo valore saliva al 59-60%. Per l’Osservatorio Aie i valori sono in linea, collocando la lettura in Italia «più elasticamente intesa» al 62%.
 
Se si considerano anche le forme di lettura che passano per gli e-book o gli audiolibri, il valore sale ancora di un poco, toccando il 65%. Sale, certo, con tutte le sovrapposizioni possibili, perché per chi legge è (relativamente) indifferente il supporto su cui si fruisce una narrazione.
 
In realtà, più che il numero di libri letti, per definire dove va a posizionarsi la lettura in questi anni conteranno sempre più altre variabili:
  • il tempo dedicato: a fine 2017 solo il 38% degli intervistati (e lettori) dedica più di 30 minuti alla lettura di libri (o e-book e audiobook);
  • il numero di libri letti perde significato: non è più l’indicatore principe della qualità della lettura se, tra i 15-17enni che dichiarano di leggere un libro, solo il 5% ammette di dedicare almeno un’ora al giorno alla lettura.
La lettura si fa pulviscolare, intermittente, randomica, parziale. Non si «sceglie» più di interrompere la lettura, diritto che Pennac sanciva nel suo decalogo del lettore, ma si viene portati a interrompere e a frastagliare ciò che si sta leggendo, per poi magari riprendere in un altro tempo e su un nuovo dispositivo. Da questi comportamenti conseguono anche scritture diverse? Unità narrative minime? Personaggi puntiformi? Potrebbe crescere il ruolo dell’infografica, delle immagini, della grafica della messa in pagina in un panorama di fruizione simile?
 
È in questo quadro che si è inserita una domanda (a risposta libera) sulle «prime tre parole che le vengono in mente pensando alla lettura». Parole che descrivono il mondo evocato dalla lettura; permettono di far emergere le differenze tra le immagini associate da diversi target; offrono  spunti utili alla comunicazione del libro, intercettando le associazioni mentali degli individui di fronte a messaggi che, in un modo o nell’altro, ruotano attorno alla «lettura».
 
«Cultura» e «relax» sono le parole che vengono citate più spesso e risultano trasversali a tutti i target (tanto che proprio per questa loro trasversalità non verranno poi più prese in considerazione). I mondi della lettura (attorno a cui cioè possiamo aggregare delle parole tra loro omogenee) finiscono così per essere sei. Il primo (in ordine di importanza) – con il 90% degli individui che a questo fanno riferimento – è quello della «cultura/conoscenza».  A cui segue l’area semantica (con il 65% delle persone che vi associano la «lettura») dello «svago/relax»: un mondo in cui stanno parole come fantasia, viaggio, curiosità, interesse, passatempo, evasione. Parole in qualche misura «calde» e relazionali. Come per la terza area semantica più numericamente rappresentata (e non a grande distanza dalle altre): quella delle «emozioni» (39%),  dominata da «piacere», «passione», «divertimento», «sognare», «felicità» e «libertà». Ma non mancano parole più concrete da associare alla lettura: quelle del «formato» su cui si legge (25%: «carta», «libro»), del «genere» letterario (22%) o delle ragioni pratiche della lettura  (lo «studio»  è il mondo associato alla lettura dal 14% degli intervista).
 
È comunque nella successiva segmentazione che emergono gli aspetti più interessanti. Ne segnaliamo due. Tra i forti lettore (12+ libri, e-book o audiolibri nel corso dell’anno precedente) la nuvola di parole è molto più ricca e variegata, piena di rimandi a dimensioni del leisure del leggere. E anche tra chi dispone di un’alta dotazione tecnologica, parole come «passione», «libro», «carta», «sognare», «evasione», «avventura», «viaggio» non scompaiono, anzi! Il paesaggio che si delinea pur nella prossimità alla smaterializzazione dei contenute rimane da un lato vicino a dimensioni tangibili, dall’altro a mondi (o sottomondi) fortemente ancorati alla libertà della fantasia e delle emozioni.

L'autore: Giovanni Peresson

Mi sono sempre occupato di questo mondo. Di editori piccoli e grandi, di libri, di librerie, e di lettori. Spesso anche di quello che stava ai loro confini e a volte anche molto oltre. Di relazioni tra imprese come tra clienti: di chi dava valore a cosa. Di come i valori cambiavano in questi scambi. Perché e come si compra. Perché si entra proprio in quel negozio e si compra proprio quel libro. Del modo e dei luoghi del leggere. Se quello di oggi è ancora «leggere». Di come le liturgie cambiano rimanendo uguali, di come rimanendo uguali sono cambiate. Ormai ho raggiunto l'età per voltarmi indietro e vedere cosa è mutato. Cosa fare da grande non l'ho ancora perfettamente deciso. Diciamo che ho qualche idea. Viaggiare, anche se adesso è un po' complicato. Intanto continuo a dirigere l'Ufficio studi dell'Associazione editori pensando che il Giornale della libreria ne sia parte, perché credo sempre meno nei numeri e più alle storie che si possono raccontare dalle pagine di un periodico e nell'antropologia dei comportamenti che si possono osservare.

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