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Innovazione

Autrici e autori contro le intelligenze artificiali: in ottomila chiedono di non usare le loro opere senza consenso

di Samuele Cafasso notizia del 8 agosto 2023

Da una parte dell’Oceano gli scrittori in tribunale, dall’altra parte, in Europa, le aziende hi tech e gli editori a confronto su un set di regole pensate per tenere assieme lo sviluppo tecnologico e il rispetto dei diritti d’autore, evitando uno scontro che negli Usa è già realtà.

Viaggiano su binari al momento separati, ma comunque paralleli, le vicende che riguardano lo sviluppo delle intelligenze artificiali e l’impatto di queste sulle opere dell’ingegno in Europa e negli Usa. In quest’ultimo caso sono molte le iniziative, legali e non solo, degli autori a difesa delle loro opere, che giudicano illegittimamente utilizzate per «alimentare» e quindi sviluppare gli algoritmi. Ad aprire la strada sono stati gli autori di arti visive – in particolare tre donne: la fumettista Sarah Andersen, l’artista digitale Kelly McKernan e l’illustratrice Karla Ortiz –, portando lo scorso gennaio in tribunale le piattaforme digitali Stability AI, Midjourney e DeviantArt per aver utilizzato illegittimamente le loro opere.

Mesi dopo, è la volta degli scrittori: a luglio Sarah Silverman, una comica autrice di un memoir, ha citato in tribunale OpenAI dopo essersi accorta che ChatGPT era in grado di fornire un riassunto molto pertinente e accurato del suo libro The Bedwetter. Secondo l’accusa, la possibilità di fornire un riassunto così preciso è spia del fatto che ChatGPT ha avuto accesso a una copia del libro, probabilmente piratata, presente sul web. Una causa simile è stata sporta contro Meta, il gruppo a cui fa capo Facebook e che ha sviluppato un altro algoritmo di intelligenza artificiale. Mona Awad e Paul Trembley sono due altri scrittori che hanno seguito la stessa strada a tutela delle loro opere, coinvolgendo nelle loro cause anche Google e il suo algoritmo, Bard.

La strada intrapresa dagli scrittori, tuttavia, secondo diversi osservatori non è facile a percorrersi – almeno negli Usa – proprio a causa del quadro legislativo americano e del concetto di «fair use», che disciplina l’accesso a opere dell’ingegno permettendone la consultazione e l’utilizzo in determinate circostanze senza aver prima acquisito l’autorizzazione dei titolari dei diritti. Ad esempio,  se io scrivo un saggio sulla letteratura contemporanea americana l’utilizzo e la citazione di opere letterarie sotto diritti è libero nella misura in cui è funzionale alla creazione di una nuova opera originale. L’utilizzo da parte degli algoritmi di opere coperte da diritti rientrerebbe in questa fattispecie. Questa è la differenza maggiore rispetto all’Europa dove l’utilizzo di dati per «istruire» le intelligenze artificiali può essere inquadrato nella normativa sul text and data mining introdotta dalla Direttiva Copyright. Secondo quanto previsto dalla direttiva, il text and data mining delle opere liberamente accessibili in rete rientra in un’eccezione, ma tuttavia chi detiene i diritti può decidere di riservarli, salvo nei casi della ricerca non a scopo di lucro.

Da questo punto di vista, un’eventuale azione nei tribunali europei contro le piattaforme digitali avrebbe più chance di essere vinta in Europa che non negli Stati Uniti. Ma il quadro è in grande evoluzione e se in Europa si attende l’approvazione definitiva dell’Artificial Intelligence Act e poi la sua concreta applicazione per misurare l’equilibrio di forze che si andrà a stabilire – l’Associazione degli editori europei chiede in particolare che vi sia massima trasparenza da parte delle piattaforme nella condivisione dei data set utilizzati per educare gli algoritmi – nel mondo anglosassone gli scrittori aprono il dibattito al grande pubblico con lettere aperte.

Quella che ha fatto più rumore riporta in calce le firme di 8mila scrittori, tra cui Margaret Atwood, Philip Pullman e Jonathan Franzen. La lettera, rivolta ai capi di OpenAI, Alphabet, Meta, Stability AI e IBM, chiede che le aziende domandino l’autorizzazione di utilizzare opere coperte da diritti, che gli scrittori siano compensati per l’utilizzo passato e presente delle loro opere da parte degli algoritmi e che lo siano in futuro per l’utilizzo dei lavori generati dalle intelligenze artificiali e che dalle opere degli scrittori derivano.
Maya Shanbhag Lang, la scrittrice e presidente dell’associazione che ha raccolto le firme, l’Authors Guilds, ha spiegato che «gli output delle intelligenze artificiali saranno sempre derivativi. L’intelligenza artificiale rigurgita quello di cui si nutre, che è poi il lavoro degli scrittori». Una posizione, questa, che riporta al primato della creazione umana negando all’algoritmo quella capacità di invenzione che al momento tutti gli osservatori confermano non avere: allo stato attuale, le intelligenze artificiali non «imparano» e non generano alcunché che non sia una rielaborazione dei dati inseriti. E, tuttavia, lo fanno in alcuni casi così bene da generare nel mondo delle imprese creative la preoccupazione che i computer possano «soppiantare» gli umani, quanto meno nella creazione di opere di basso valore culturale e artistico ma il cui sfruttamento economico potrebbe andare a detrimento degli autori umani. In questo senso, le intelligenze artificiali si muoverebbero lungo lo stretto crinale che divide il rifarsi a uno stile proprio di un autore o di un gruppo di autori – e lo stile sappiamo non essere coperto da diritto d’autore – e il plagio vero e proprio.

L'autore: Samuele Cafasso

Sono nato a Genova e vivo a Milano. Giornalista, già addetto stampa di Marsilio editori e oggi di AIE, ho scritto per Il Secolo XIX, La Stampa, Internazionale, Domani, Pagina99, Wired, Style, Lettera43, The Vision. Ho pubblicato «Figli dell’arcobaleno» per Donzelli editore. Quando non scrivo, leggo. O nuoto.

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