La gastronomia – anche quando ancora non si chiamava in questo modo – è da sempre un argomento d’interesse nel nostro Paese. Senza voler andare a scomodare i trattati di cucina del XV secolo, basta andare ai primi anni di vita dello Stato italiano propriamente detto per trovare l’Artusi. E quindi il binomio cucina-editoria funziona da molto tempo, da ben prima che cominciasse la popolarità che, grazie ai passaggi in televisione, ha oggi. Ma come si è sviluppato il panorama editorial-culinario? Quali sono le tendenze e i linguaggi odierni, e come si sposano con la tradizione?
La nuova popolarità televisiva
È una questione che conoscono bene Maria Vittoria Dalla Cia, alla direzione di «La Cucina Italiana» dal 2016, e Guido Tommasi, fondatore della casa editrice omonima, attiva dai primi anni Novanta; entrambi impegnati da anni in questo settore, attraverso la loro prospettiva cercheremo di capire i cambiamenti che attraversano questo ambito. Primo fra tutti l’effetto dell’incredibile popolarità acquisita soprattutto grazie alla messa in onda di molti talent show dedicati: risultati dirompenti, ma forse un po’ troppo «gonfiati» (e il mercato sembrerebbe confermarlo).
Per quanto riguarda «La Cucina Italiana», che forte della sua longevità è stata definita «ammiraglia della gastronomia» e solca le edicole dal 1929, è importante fornire al lettore uno spaccato delle tendenze contemporanee, ma senza mai perdere in coerenza. «Dall’esperienza viene una lezione di grande equilibrio e solidità, per cui si riesce a interpretare le nuove mode senza subirle, e a mantenere la propria identità, che pur è certamente evoluta nel tempo» conferma Maria Vittoria Dalla Cia. Un esempio di questa condotta è il rapporto con la figura dello chef. L’eccessiva personalizzazione, il «culto della personalità» che ha ultimamente preso piede e che sicuramente ha mosso moltissime copie negli ultimi anni, portando gli chef in classifica, non si sposa del tutto con la linea editoriale, che quindi continua a proporre ricette firmate dalla testata. «Il giornale è sempre stato prudentissimo nei confronti di questo aspetto» conferma Dalla Cia, «e pur avvalendosi naturalmente della collaborazione di cuochi che sono anche figure molto importanti nel panorama della cucina, chiediamo loro di cucinare mettendo al centro l’offerta di un servizio ai lettori: così queste personalità si adattano offrendo la loro creatività, commisurata alla possibilità di replicare e di rendere una ricetta fruibile un po’ per tutti».
Anche sul fronte librario, con Guido Tommasi, c’è una certa sfiducia verso questo «fenomeno» degli ultimi anni; dopo la recente ondata di chef-star, dunque, «si sta vivendo un riflusso, com’è normale che sia». La bolla, quindi, sembrerebbe ormai conclusa «ed è giusto», continua Tommasi: «c’è un eccesso di produzione, perché come sempre quando si trova un segmento che funziona i grandi editori cercano di inserirsi standardizzando e senza creare un vero mercato; ora si parla di calo della quota di mercato, ma in realtà si sta perdendo solo quel fatturato “spinto” dalla moda del momento e nutrito da libri a prezzi bassissimi, non quello della nicchia in sé. Tant’è vero che noi nel frattempo abbiamo sempre allargato il nostro fatturato e la nostra quota». E per ottenere questo risultato ci si basa sul «fare qualcosa che gli altri non fanno, essere riconoscibili», che subito ha caratterizzato l’operato della casa editrice.
Dunque, nonostante la grande popolarità che hanno acquisito alcuni professionisti del settore (dagli chef ai conduttori di programmi culinari), possiamo dire che l’editoria specializzata rimane sui percorsi tracciati negli ultimi anni: e i temi, come possiamo anche osservare dai dati Nielsen, sembrano essere sempre più quelli della cucina regionale e della cucina vegetariana, ad esempio, e via via di nicchie più specifiche (e particolari, come la collana di Guido Tommasi dedicata al rapporto tra letterati e cucina, dove si trovano Goethe, Simenon, De Filippo e ora anche degli autori contemporanei). Una tendenza che in fondo possiamo osservare anche in vari altri campi editoriali.
Senza, tuttavia, andare a esagerare in complessità: tanto per la rivista quanto per l’editore, infatti, sta vincendo un progetto di chiarezza. Se ad esempio «La Cucina Italiana» dà particolare attenzione alla quotidianità, alla vita di tutti i giorni, ponendosi quasi «come un’amica o un amico che dà suggerimenti, più che un manuale», Guido Tommasi rilancia con i classici di Michel Roux sugli impasti; entrambi, poi, si dedicano alla cucina regionale. D’altronde, «c’è sempre una maggiore consapevolezza da parte dei lettori della tradizione gastronomica, delle origini della nostra cucina» conferma Dalla Cia; e forse proprio questa ritrovata consapevolezza porta a voler riscoprire al meglio tanto le basi dell’arte, quanto le tradizioni del passato e della propria terra.
I social media e i nuovi linguaggi
Tuttavia, anche senza seguire le mode televisive e pur rimanendo fedeli alla propria linea, è necessario imparare a usare i nuovi linguaggi e i nuovi mezzi di comunicazione per riuscire a raggiungere questi nuovi lettori consapevoli. Indubbiamente il passaggio necessario è attraverso i media visivi: «oggi come oggi i social sono tra le parti più importanti della comunicazione» commenta Guido Tommasi. «Ovviamente ci si deve lavorare; è una cosa che fatta in sinergia con gli autori porta a ottimi risultati. Noi ad esempio abbiamo Facebook e Pinterest, e stiamo pensando di creare un profilo anche su Instagram; in più abbiamo il nostro sito. Siamo attivi anche nella produzione di video, e i booktrailer ci sembrano dare riscontro (oltre a essere divertenti da progettare)».
Anche «La Cucina Italiana» si sta muovendo verso i video e i contenuti visuali, che d’altronde hanno sempre fatto parte dell’essenza della rivista. È innegabile però, e lo sottolinea anche Dalla Cia, che «i linguaggi si sono compressi, e ora si guarda molto di più, e si legge meno». Anche per questo la grafica della rivista si è in parte aggiornata attraverso una maggior frammentazione del contenuto con piccoli box e focus, e una grafica alleggerita che si sposa anche con le necessità dei canali online.
Per entrambe le forme editoriali, però, è il contenuto alla base a fare la differenza di una buona comunicazione social, e in entrambi i casi la fonte di questi contenuti rimane un approfondimento attento e preciso, coadiuvato da un’esperienza pluriennale, senza cui non si riuscirebbero a sfruttare poi i diversi canali secondo le loro specificità. Ad esempio, su social come Instagram e Pinterest, dove una mise en place attenta è fondamentale, è possibile sfruttare al meglio gli anni di esperienza nel pensare fotografia culinaria che presentasse in maniera sempre nuova piatti anche classici, creando «un’atmosfera, un micro-ambiente con sfumature sempre diverse», per usare le parole di Maria Vittoria Dalla Cia.
Riviste e libri di cucina, due mondi complementari
In un settore che sta cercando una nuova strada dopo un grande successo che si sta rivelando però effimero, chi si occupa di riviste e libri di cucina dovrà approcciarsi al nuovo modo del pubblico di intendere la cucina, accontentando tanto gli appassionati «storici» quanto i nuovi arrivati, che magari si sono appassionati di cucina grazie ai molti programmi disponibili in televisione. In ogni caso, il mondo delle edicole e quello delle librerie sembrano convivere molto bene: da un lato la rivista come compagnia nel quotidiano, come spunto curioso; dall’altro il libro come fonte autorevole di ricette che resistono al passare del tempo. Due realtà che si completano, dunque, e s’incontrano nel segno dell’amore per il cibo e la gastronomia.
Laureata in Lettere moderne (con indirizzo critico-editoriale), ho frequentato il Master in editoria. Mi interessa la «vita segreta» che precede la pubblicazione di un libro – di carta o digitale – e mi incuriosiscono le nuove forme di narrazione, le dinamiche delle nicchie editoriali e il mondo dei blog (in particolare quelli letterari).
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