Com’è ovvio, leggere un libro non è lo stesso che ascoltarlo. Non nel senso che una delle due attività sia qualitativamente migliore o preferibile rispetto all’altra. Piuttosto perché, com’è naturale, ciascuna modalità di fruizione dà vita a un’esperienza diversa, stimola emozioni e sensazioni differenti, e in maniera diversa viene ricordata.
Secondo
Art Markman e
Bob Duke – entrambi ricercatori all’Università del Texas, nonché autori e voci del fortunato podcast di divulgazione scientifica
Two guys on your head – a cambiare è essenzialmente il modo in cui
il nostro cervello processa le informazioni. L’argomento è stato affrontato durante la puntata dal titolo
Reading vs. Listening.
In sintesi, durante la lettura – mentre processa il segno grafico acquisito grazie alla vista, dalla pagina o dallo schermo – il cervello sarebbe contemporaneamente impegnato a «riempire gli spazi bianchi» della narrazione. Vale a dire a completare da sé una serie di informazioni e caratteristiche che il testo scritto lascia necessariamente indeterminate: i rumori della scena, il tono di voce dei personaggi, le caratteristiche «visive» dell’ambientazione, l’aspetto estetico di chi la popola…
Con la fruizione audio (soprattutto in presenza di prodotti editoriali che non si limitano a una trasposizione vocale della pagina scritta, ma inseriscono il contenuto narrativo nel suo «contesto sonoro», servendosi dell’audio come elemento di contestualizzazione e racconto) la funzione di completamento messa in atto dal cervello viene per qualche verso attenuata. Sono più piccoli gli spazi bianchi da riempire, minore è il numero degli elementi lasciati indeterminati che ciascun lettore-ascoltatore determinerà autonomamente.
Questo è un primo elemento. Un altro, ugualmente significativo, ha a che fare con la «profondità» del livello di comprensione, legata alla percezione della possibilità (o meno) di fare «avanti e indietro» nella storia con facilità. Detto in altre parole: gli esperimenti in laboratorio di Markman e Duke hanno mostrato che, quando fruiamo di un audiolibro, siamo più orientati a un’immediata comprensione generale del senso di ciò che stiamo ascoltando. Magari non ricorderemo parola per parola quello che abbiamo sentito, ma è più probabile che avremo afferrato il concetto al primo colpo.
Quando leggiamo, invece, l’approccio che abbiamo con le parole e con la loro comprensione è per qualche verso più letterale. È più probabile, insomma, che – pur avendo a mente le ultime parole che abbiamo letto – sentiremo l’esigenza di una rilettura (di tornare indietro con lo sguardo o di sfogliare le pagine a ritroso) per una conferma sul significato, sul senso della storia.
Una diversità che i due ricercatori attribuiscono al modo in cui il nostro cervello si confronta con le due modalità di fruizione: mentre, infatti, è percepito come abituale e «naturale» tornare indietro nel testo scritto alla ricerca di un chiarimento, l’ascolto è maggiormente interpretato come un continuum esperienziale da un punto di inizio a un punto di fine. E meno agevole, adeguata, piacevole viene considerata la possibilità di premere il tasto back per «capire meglio».
Dal 2010 mi occupo della creazione di contenuti digitali, dal 2015 lo faccio in AIE dove oggi sono responsabile del contenuto editoriale del Giornale della Libreria, testata web e periodico in carta. Laureata in Relazioni internazionali e specializzata in Comunicazione pubblica alla Luiss Guido Carli di Roma, ho conseguito il master in Editoria di Unimi, AIE e Fondazione Mondadori. Molti dei miei interessi coincidono con i miei ambiti di ricerca e di lavoro: editoria, libri, podcast, narrazioni su più piattaforme e cultura digitale. La mia cosa preferita è il mare.
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