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Curiosità

Il 2015, un pessimo anno per la libertà d'espressione

di Alessandra Rotondo notizia del 7 gennaio 2016

A un anno esatto dalla strage della redazione del giornale satirico «Charlie Hebdo», dobbiamo tristemente concludere che i dodici mesi appena trascorsi non sono stati un buon periodo per la libertà di stampa né per quella di pensiero e di espressione. È quanto nettamente confermano i numeri dell’indagine annuale condivisa a fine dicembre dall'organizzazione non governativa Reporters sans frontières.
110 giornalisti sono stati uccisi nel corso del 2015 – 67 mentre svolgevano il loro lavoro, 43 in circostanze misteriose –, 54 sono quelli attualmente trattenuti in ostaggio, 154 sono invece in prigione.
Preoccupante soprattutto il fatto che, a differenza degli anni passati, i due terzi dei reporter scomparsi abbiano perso la vita in Paesi non attraversati da confitti, eliminando così il discrimine tra i rischi consapevolmente assunti dagli «inviati di guerra» e quelli, di gran lunga più imprevedibili, affrontati dai cronisti che operano in zone «in pace».
Ma non sono solo le penne dei reporter a suscitare la reazione violenta dei regimi: se in Turchia, poco più di un mese fa, Can Dundar – direttore del quotidiano di opposizione laica «Cumhuriyet» – e Erdem Gul – capo della redazione di Ankara del giornale – venivano fermati con l’accusa di associazione terroristica e violazione della sicurezza dello Stato per uno scoop nel quale rivelavano il presunto passaggio di un camion carico di armi dalla Turchia alla Siria; di pochi giorni fa è la notizia della scomparsa di Lee Boo, quinta persona legata alla libreria di Hong Kong Causeway Bay Bookstore a far misteriosamente perdere le proprie tracce negli ultimi mesi. La libreria, attorno alla quale orbitavano a vario titolo tutti gli scomparsi, è controllata dalla casa editrice Mighty Current Media, e con questa condivide la passione per la pubblicazione e la diffusione di testi sgraditi al regime di Pechino, poiché imperniati sul racconto spesso scandalistico e sicuramente non ingentilito delle vite dei vertici del potere. Se è vero che in Cina non è mai stato consentito attaccare direttamente i leader o rivangare nel loro passato al di fuori dalle pubblicazioni ufficiali, l’ex colonia britannica, restituita alla sovranità cinese nel 1997, in base al principio «un Paese, due sistemi» possiede uno statuto politico diverso rispetto alla Cina continentale, che non contempla simili divieti e che, soprattutto, impedisce l’arresto di suoi cittadini sul suo suolo da parte delle forze di polizia cinesi.
Gli scempi perpetrati nei confronti della libertà (non solo di espressione) da parte del sedicente Stato islamico, invece, non si contano più. È recentissima la notizia del certo assassinio di Raqia Hassan, la giornalista indipendente irrintracciabile da luglio che dai suoi profili social raccontava la vita e le vessazioni quotidiane subite dagli abitanti di Raqqa, roccaforte dell’Isis in Siria.

L'autore: Alessandra Rotondo

Dal 2010 mi occupo della creazione di contenuti digitali, dal 2015 lo faccio in AIE dove oggi coordino il Giornale della libreria, testata web e periodico in carta. Laureata in Relazioni internazionali e specializzata in Comunicazione pubblica alla Luiss Guido Carli di Roma, ho conseguito il master in Editoria di Unimi, AIE e Fondazione Mondadori. Molti dei miei interessi coincidono con i miei ambiti di ricerca e di lavoro: editoria, libri, podcast, narrazioni su più piattaforme e cultura digitale. La mia cosa preferita è il mare.

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