E se Amazon non stesse semplicemente cambiando il mercato del libro – come effettivamente sta succedendo – ma anche le forme e i modi della scrittura letteraria? È questa la tesi – o provocazione? – al centro di «Everything and Less: The Novel in the Age of Amazon» (Verso), un saggio dello studioso di letteratura Mark McGurl che in poche settimane si è guadagnato recensioni da parte di New Yorker, New York Times, New Republic, Lit Hub e molti altri.
Non è una novità che le esigenze dell’industria editoriale plasmino le forme dell’espressione: nella sua recensione al saggio, il New Yorker ricorda ad esempio come il grande romanzo vittoriano abbia risentito dell’influsso del modello economico della Mudie’s Select Library, un gigante della distribuzione libraria di allora il cui business era quello del prestito libri dietro pagamento di un abbonamento annuale. In quel periodo si svilupparono – ed erano molto graditi a Charles Edward Mudie – i cosiddetti triple-deckers, ovvero romanzi pubblicati in tre grandi volumi di circa 300 pagine ciascuno. Poiché ogni abbonato poteva prendere in prestito un solo volume alla volta, dividere la storia in tre tomi permetteva di moltiplicare le persone che potevano leggere in contemporanea la stessa storia (su tre tomi diversi). È probabile che questo sia stato uno stimolo verso la scrittura di storie complesse, ricche di trame secondarie e picchi narrativi frequenti, con un andamento che fosse divisibile in tre grandi atti. Ma è solo un esempio, certo non il più noto: si pensi ad esempio al feuilleton, a quanto debba la sua struttura alla pubblicazione sui giornali a puntate.
Allo stesso modo, Amazon sta cambiando la forma romanzo, ammesso che possiamo ancora chiamarlo così: secondo lo studioso, infatti, oggi il romanzo «non è particolarmente interessante, se non come unità di discorso nella formazione di una trilogia o di una serie lunga». McGurl si concentra in particolare sul ruolo di Kindle Direct Publishing, ovvero lo strumento per l’autopubblicazione che permette di saltare l’intermediazione dell’editore affidando agli algoritmi e a un sistema di classificazione super settoriale la scelta dei titoli proposti a ogni cliente-lettore. Il maggior fattore trasformativo è, secondo McGurl, il fatto che l’autore venga retribuito a seconda del numero delle pagine lette. Questo ha conseguenze sul modo con cui è più conveniente scrivere le storie: molti picchi narrativi fin dai primi capitoli per tenere agganciato il lettore, svolgimento su centinaia se non migliaia di pagine, organizzazione della narrazione su un flusso che supera il singolo libro. La serialità, ovviamente, non è un’invenzione di Amazon e gli stessi editori ben conoscono le potenzialità delle trilogie e delle saghe, ma qui siamo un passo in avanti. Lo stesso vale per la spinta verso la moltiplicazione dei generi e sub-generi: individuare nicchie sempre più specifiche che permettano al lettore di trovare storie che incrocino esattamente i suoi gusti è una tendenza che va avanti da decenni, ma è il sistema di classificazione con cui Amazon presenta i titoli ai lettori sul suo portale, secondo la tesi dello studioso, ad aver provocato una ulteriore accelerazione in questa direzione. Più sottogeneri vuol dire più pagine visitate, vuol dire più titoli presentati a ogni lettore e con una maggiore possibilità di arrivare esattamente al centro dei suoi gusti (con nessuno spazio per sorprendersi con contenuti inaspettati, ma questo è il principio oramai a tutti ben noto delle bolle).
Ci sono poi cambiamenti più subdoli che vanno, ad esempio, verso l’iperproduzione: il lasso di tempo più conveniente per sfruttare il successo di una prima uscita con una seconda che «catturi» i lettori è stato calcolato in tre mesi: su Amazon fioriscono, nota con malizia McGurl, i libri di self-help che spiegano come riuscire a scrivere centinaia di pagine in pochi giorni. E poi la spinta verso il compiacimento del lettore: storie semplici, immediatamente comprensibili, evitare passaggi che possano essere disturbanti diventa un imperativo nel momento in cui la readership è misurata sulle singole righe (ma non è questa, d’altronde, una trasformazione che ha già travolto il giornalismo dei click, o l’intrattenimento delle serie tv sulle piattaforme?).
«L’obiettivo di McGurl – avverte il New Yorker – è più provocare che non persuadere. Lui non argomenta, insinua, ammicca». Più che un’analisi di quello che sta succedendo, quindi, la sua è una suggestione. Difficile, tuttavia, da ignorare. D’altronde Pietro Minto sul Domani, recensendo il libro, nota come fermarsi ad Amazon potrebbe essere limitante: i webtoon stanno già cambiando il fumetto verso direzioni che portano dalla serialità verso lo streaming. In Cina, intanto, spopola la piattaforma «Qidian, che pubblica “romanzi-web” firmati da autori costretti dal mercato a ritmi di scrittura forsennati. Ogni romanzo di Qidian è composto da capitoli che escono a distanza di pochi giorni, dal costo di meno di un euro ciascuno. Le conseguenze sono, ancora una volta, stilistiche, perché il sistema spinge alla pubblicazione di capitoli veloci, pensati per soddisfare gli appetiti del pubblico con una semplice notifica».
Sono nato a Genova e vivo a Milano. Giornalista, già addetto stampa di Marsilio editori e oggi di AIE, ho scritto per Il Secolo XIX, La Stampa, Internazionale, Domani, Pagina99, Wired, Style, Lettera43, The Vision. Ho pubblicato «Figli dell’arcobaleno» per Donzelli editore. Quando non scrivo, leggo. O nuoto.
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