È ambizioso il progetto della British Library di archiviare l’intero patrimonio digitale del Regno Unito, dagli e-book alle newsletter on line, dai blog alle pagine dei siti Web, ma è un compito di importanza fondamentale per salvaguardare il patrimonio storico e culturale del Paese.
Con la digitalizzazione massiccia delle principali attività umane, moltissimo del materiale che potrebbe interessare agli storici del futuro è svanito in un buco nero digitale. I bibliotecari dicono che il lavoro è urgente: dal 2005 al 2010 si sono perse le tracce di moltissimi eventi, dai bombardamenti di Londra alle campagne elettorali.
Il Web è un contenitore effimero. La vita media di una pagina Internet è di circa 75 giorni perché i siti cambiano continuamente e i contenuti si perdono o vengono sostituiti. «Se non cominciamo a conservare questo materiale, un tassello importante della nostra comprensione del XXI secolo andrà perduta per sempre» ha affermato Lucie Burgess, responsabile della content strategy della British Library.
Del resto per secoli il compito primario di tutte le biblioteche è stato quello di conservare e catalogare una copia di ogni libro, opuscolo, rivista e giornale che veniva dato alle stampe. Oggi i tempi sono cambiati ma l’esigenza di ricordare è ancora una priorità. È tempo di fare qualcosa per preservare anche la memoria digitale.
Per pubblicizzare il suo nuovo progetto la British Library ha messo in mostra un piccolo frammento dei contenuti che sta tentando di preservare – 100 siti, selezionati per dare un’istantanea della vita digitale britannica nel 2013 – per aiutare cosi la gente a comprendere la portata di ciò che conterrà il nuovo archivio digitale.
La British Library ha tentato per anni di archiviare il Web, seppure in modo discontinuo, e finora ha raccolto circa 10.000 siti. L’opera è stata rallentata dall’assenza, o meglio, dall’inadeguatezza, di una legislazione in merito per cui l’ente ha dovuto chiedere il permesso ai proprietari dei siti per «fotografare» le loro pagine.
Oggi l’iter burocratico si è snellito grazie all’approvazione di una legge nel 2003, ma ci sono voluti dieci anni di studi, legali e tecnologici, da parte della biblioteca per poter iniziare la catalogazione a strascico di tutti i siti che terminano col suffisso .uk.
Un automatismo Web scansionerà e registrerà ben 4.800.000 siti, per un totale di circa un miliardo di pagine Web. La maggior parte di essi sarà «catturata» una volta l’anno, mentre centinaia di migliaia di siti in rapido mutamento – come quelli di giornali e riviste – saranno archiviati almeno una volta al giorno.
La biblioteca prevede di rendere il contenuto disponibile al pubblico entro la fine dell’anno. «In un solo anno riusciremo a catalogare quello che, col nostro archivio analogico, ci è costato 300 anni di lavoro», ossia l’equivalente di 750.000.000 pagine di carta di giornale, ha affermato Burgess.
E questo è solo l’inizio. I bibliotecari sperano di ampliare presto la loro collezione includendo tutti quei siti esteri che contengono materiale britannico di rilevanza storica e culturale, così come i flussi Twitter (e di altri social) di tutte le più note personalità del Regno Unito.
L’archivio digitale verrà conservato presso la sede centrale di Londra e in altri cinque istituti britannici e irlandesi depositi legali – le biblioteche nazionali del Galles e della Scozia, così come le biblioteche universitarie di Oxford, Cambridge e il Trinity College di Dublino.
La Gran Bretagna è uno dei primi Paesi ad impegnarsi per la conservazione del suo patrimonio digitale. Un progetto ambizioso che si è scontrato e continuerà a scontrarsi con innumerevoli ostacoli: dall’evoluzione tecnologica all’obsolescenza dei supporti e alla lentezza della burocrazia. Detto questo ci permettiamo di porci una forse oziosa domanda: servirà ai posteri la raccolta dei miliardi di Tweet e commenti che affollano la rete ogni giorno?