Come racconta The Chronicle of Higher Education, l’ascesa, la caduta e la riapertura di Sci-Hub, un sito web «pirata» che ospita milioni di articoli scientifici sottratti alla titolarità di chi li ha pubblicati, ha evidenziato le tensioni esistenti – negli USA e non solo – tra ricercatori, bibliotecari ed editori accademici.
Il sito è stato fondato nel 2011 da Alexandra Elbakyan, una ricercatrice kazaka, con lo scopo di consentire, soprattutto agli studiosi dei Paesi meno sviluppati (quelli, tipicamente, le cui università non possono investire consistentemente in abbonamenti a riviste), di scavalcare le mura dei paywall: una media di 30 dollari ad articolo, moltiplicati per le decine o centinaia che ciascun ricercatore si trova a consultare per i suoi studi. Infatti, la tendenza a rivolgersi ai siti illeciti nasce dall’esigenza, da un lato di consultare anche materiali non disponibili presso la propria università, dall’altro di accorciare i tempi, spesso dilatati dalla pratica del prestito interbibliotecario.
D’altro canto, i canoni d’accesso agli articoli remunerano il lavoro di cura editoriale svolto dall’editore, indispensabile poiché garante di coerenza, leggibilità e conformità del testo (oltre che, naturalmente, dell’impaginazione, della stampa e della pubblicazione della rivista) pur nel rispetto degli obiettivi e dello stile dell’autore.
E della necessità di remunerare il lavoro dell’editore ha probabilmente tenuto conto anche il giudice, quando – chiamato lo scorso anno a esprimersi sulla causa Elsevier versus Sci-Hub – ha dato ragione al gigante dell’editoria, condannando il sito e intimandogli la chiusura per pirateria informatica. Peccato che Alexandra Elbakyan l’abbia riaperto, sotto un nuovo dominio, poche settimane dopo, ribadendo il diritto all'accesso libero agli esiti della ricerca.
La posizione delle biblioteche universitarie è, all’interno di questo quadro polarizzato, piuttosto scomoda: dal punto di vista «morale», ma anche da quello prettamente pratico. Infatti, siti come Sci-Hub «rubano» il materiale protetto, depositandolo poi nei loro archivi, ordendo tentativi di phishing ai danni dei sistemi informatici delle biblioteche, delle università e di tutte quelle istituzioni che pagano regolarmente i loro abbonamenti. E avere un maggior controllo sulla sicurezza di questi sistemi, assecondando così le richieste degli editori professionali, implicherebbe un ulteriore, significativo, costo.
John Tagler, vicepresidente e direttore esecutivo della divisione accademico-professionale dell’Association of American Publishers (in Elsevier dal 1977 al 2008), sostiene che la pirateria praticata da Sci-Hub abbia minato l'infrastruttura dell’editoria accademica: «interrompere il flusso di entrate che sostiene queste riviste è una minaccia», ribadisce. Il punto d’incontro tra le esigenze di ricercatori, bibliotecari ed editori andrebbe cercato, secondo lui, in modelli ibridi tra open access e paywall: pre-print per gli studiosi, abbonamenti condivisi tra più università, potenziamento del prestito interbibliotecario.
D’altronde, chiosa Carolyn Gardner – bibliotecaria alla University of Southern California e sostenitrice dell’accesso aperto quanto del paywall – il modello per-article del comparto accademico non si è allineato alle evoluzioni intraprese, per esempio, dall’industria musicale, che ormai da anni offre all’utente la possibilità di fruire del singolo pezzo a un costo moderato.

L'autore: Alessandra Rotondo

Dal 2010 mi occupo della creazione di contenuti digitali, dal 2015 lo faccio in AIE dove oggi coordino il Giornale della libreria, testata web e periodico in carta. Laureata in Relazioni internazionali e specializzata in Comunicazione pubblica alla Luiss Guido Carli di Roma, ho conseguito il master in Editoria di Unimi, AIE e Fondazione Mondadori. Molti dei miei interessi coincidono con i miei ambiti di ricerca e di lavoro: editoria, libri, podcast, narrazioni su più piattaforme e cultura digitale. La mia cosa preferita è il mare.

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