
Tintin è razzista, così la pensano gli svedesi.
Un’accusa non nuova per il giovane reporter belga che, circa un anno fa era stato messo sul banco degli imputati in Belgio per la visione stereotipata e denigratoria del popolo africano che emergeva dall’albo
Tintin in Congo.
Al tempo Tintin era stato assolto dalla sentenza della Corte che aveva stabilito che il suo creatore,
Georges Remi, non aveva fatto altro che
trasferire nella storia la percezione contemporanea di quella che era la realtà dell’epoca, senza alcuna connotazione razzista.
L’assoluzione del tribunale belga non sembra tuttavia aver convinto tutti. Gli albi della popolare serie a fumetti sono stati infatti
rimossi dagli scaffali della Biblioteca pubblica di Stoccolma proprio - che sia solo un caso? -
durante la settimana dedicata alla sensibilizzazione contro i banned book.
Behrang Miri, responsabile del reparto ragazzi della biblioteca
ha infatti dichiarato che l’immagine che i libri di Tintin danno degli africani sarebbe
«afro-fobica», così come stereotipate sarebbero le rappresentazioni delle altre culture:«Gli africani sono tonti, gli arabi siedono sui tappeti volanti e i turchi fumano la pipa. Sono caricature tracciate da una
prospettiva ancora coloniale». Il timore è che
i bambini non colgano le sfumature, che si facciano coinvolgere dalla storia su un piano superficiale, assorbendo le informazioni senza spirito critico.
Non è quindi sufficiente l’introduzione che accompagna tutte le nuove edizioni di Tintin che spiega che i fumetti sono stati progettati in un’altra epoca: bisogna censurarli.
E Tintin pare essere solo la prima vittima di questa caccia dei benpensanti: secondo Behrang Miri tutta la letteratura dell’infanzia dovrebbe essere «controllata».
Speriamo che signor Miri e colleghi non leggano mai
Piccole donne, che non capiti loro di sfogliare, ad esempio,
Asterix e Obelix in Britannia (dove il popolo anglosassone è dipinto come ossessionato dalla puntualità, dai praticelli tosati, dalla sacra ora del the e afflitto da uno humor incomprensibile). Speriamo che insomma continuino a fare i bibliotecari censurando i libri invece di spiegarli, senza che nessuno dica mai loro che il loro nobile mestiere non si ferma alla catalogazione dei libri, e meno che mai alla loro
classificazione come buoni o cattivi. Fare il bibliotecario significa anche e soprattutto educare alla lettura. Ed educazione e censura sono su due piani del tutto opposti.